7.5
- Band: THE AGONY SCENE
- Durata: 00:35:32
- Disponibile dal: 20/07/2018
- Etichetta:
- Outerloop Records
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I The Agony Scene sono stati, a parere di chi scrive, una delle band più interessanti a provenire dal fervido e ribollente calderone metalcore dei primi anni del 2000, caretterizzati da una capacità di mescolare riff assassini, ritmiche da rottura di collo e dinamismo come pochi altri all’epoca. Dopo l’esordio con Solid State Records, etichetta di christian metal, corrente alla quale la stessa band di Tulsa afferiva in quel periodo, e la visibilità ottenuta con il buon self-titled del 2003, i Nostri riescono ad acciuffare un contratto con la Roadrunner, e a sfornare “The Darkest Red”, un piccolo classico della NWOAHM d’inizio secolo, cominciando a farsi un profilo sempre più importante all’interno della scena, con tour in lungo e in largo per gli States ed aprendo per band del calibro di Suicide Silence, Himsa e A Life Once Lost.
Il capitolo successivo della discografia del combo dell’Oklahoma li vede mettere definitivamente da parte gli accenni di clean singing e le melodie facili in favore di uno spirito più aspro e punk con “Get Damned!” del 2007, un altro lavoro divertente e ficcante che li cementa nella parte alta della classifica, volendo usare un paragone calcistico. E da questo momento in poi che avviene la caduta, dovuta ad un misto di divergenze artistiche e problemi economici, che porta il quartetto ad appendere definitivamente gli strumenti al chiodo nel 2008, dopo un periodo di silenzio radio. Sembrava tutto perduto per i The Agony Scene, ma si sa, nel mondo della musica solo la morte è definitiva, ed ecco i Nostri fare nuovamente capolino nel 2017 con una reunion con quasi tutti i membri originali ed un album nuovo di pacca sotto la piccola Outerloop Records, questo “Tormentor” che possiamo considerare idealmente l’anello di congiunzione tra le escursioni death del self-titled e le urgenze punk di “Get Damned!”, ma con un’anima tutta sua, davvero senza compromessi. “Hand Of The Divine”, singolone apripista scelto dalla band per interrompere un silenzio durato dieci anni, mostra un gruppo con gli stessi muscoli di una volta ma con il savoir faire che danno quasi vent’anni di esperienza nello scrivere musica, e questo sarà il sentore che avremo nel corso di tutto il disco, fino alla fine. Le atmosfere death sono ben più marcate che in passato, trainate da una produzione ruvida e per nulla fighetta, ma che risulta comunque ben al passo coi tempi, che si sposa al meglio con il timbro assassino del solito Mike Williams, da sempre una sicurezza dietro il microfono, e punto di forza della band. Con l’altra “The Submissive”, rivediamo ancora lo spirito groovy di “Barnburner”, e notiamo con piacere quanto i TAS sappiano ancora farci scapocciare come quando avevamo quindici anni, ma notiamo anche quanto i Nostri riescano a cavarsela bene quando lasciano la velocità da parte in funzione di episodi non necessariamente al fulmicotone, dove le ritmiche vengono scandite dai blastbeat, quali la titletrack oppure la conclusiva “Mechanical Breath”, squisitamente black in più di un frangente.
Questo “Tormentor” dà nuova linfa vitale al combo dell’Oklahoma, mostrando una band che non vuole dimostrare niente a nessuno, ma che tira fuori un lavoro senza compromessi nè ammiccamenti di sorta, ed in più ci fa sperare in un nuovo, scoppiettante inizio per una band d’indiscutibile talento.