6.0
- Band: THE AMITY AFFLICTION
- Durata: 00:43:03
- Disponibile dal: 24/08/2018
- Etichetta:
- Roadrunner Records
- Distributore: Warner Bros
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Dopo l’ammorbidimento del precedente “This Could Be Heartbreak” – valso l’ingresso nelle zone alte delle charts in Australia, USA ed Europa – i The Amity Affliction sembrano averci preso gusto (BMTH docet) e con il loro sesto album si allontanano ancora di più dal metalcore dei primi tre lavori, al punto che in più di un’occasione sembra quasi di ascoltare i Fall Out Boy o i Good Charlotte con giusto qualche scream e distorsione in più. Premesso che chi scrive resta affezionato al sound di “Let The Ocean Take Me”, va riconosciuto al trio australiano (rimasto nel frattempo orfano del batterista Ryan Burt, allontanato per disturbi mentali), il merito di avere quanto meno preso con “Misery” una direzione ben precisa (al contrario del suo predecessore) e di portarla avanti con coerenza, come evidenziato da pezzi smaccatamente pop quali “Ivy (Doomsday)”, “Feels Like I’m Dying”, “Buried Alive” o la title track. Tra un sintetizzatore e l’altro (non a caso il produttore è lo stesso dei Panic At The Disco e della popstar Ariana Grande), l’unico legame col passato, al netto di qualche passaggio un pelo più aggressivo come “Holier Than Heaven” e “Black Cloud”, restano i testi sempre sofferenti di Joel Birch, ormai addetto anche alle clean vocals (insieme al bassista Ahren Stringe), visto il peso preponderante delle stesse nell’economia dei pezzi. A dispetto di un movimento in continua crescita – oltre ai soliti noti, segnaliamo in tempi recenti i brillanti esordi di Opine e Naberus – i The Amity Affliction 2.0 si confermano l’anello debole della scena core australiana, migliorando sì leggermente rispetto al precedente album, ma restando ben lontani dai livelli qualitativi imposti dai Bring Me The Horizon con “That’s The Spirit”.