7.0
- Band: THE ATOMIC BITCHWAX
- Durata: 00:42:00
- Disponibile dal: 26/04/2011
- Etichetta:
- Tee Pee
- Distributore: Goodfellas
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Gli Atomic Bitchwax sono da sempre considerati una piccola grande cult band in ambito stoner rock, uno di quei gruppi che difficilmente sbaglia un colpo e che è considerato intoccabile dai fans. Questo “The Local Fuzz” è il loro quinto album ufficiale, tutti usciti sotto l’egida della mitica Tee Pee Records e probabilmente, per la formula utilizzata è il primo lavoro che non riesce a convincere appieno. Nel corso degli anni Chris Kosnik, Bob Pantella e Finn Ryan hanno incorporato nel loro sound elementi che arricchivano il loro rock duro settantiano, dando largo spazio a partiture psichedeliche, bluesy, garage, prog e soprattutto funky; tutto ciò si condensa anche in questo “The Local Fuzz”, composto da un unico brano della durata di 42 minuti. Ryan alle sei corde riesce ad unire tecnica e feeling in un esercizio che non riesce a moltissimi chitarristi, mentre la sezione ritmica asseconda e doppia gli impulsi solisti ed offre una performance al solito estremamente convincente. Il problema è che la formula scelta alla lunga mostra decisamente la corda, alternando attimi di pura goduria sonora ad altri di ripetitività e di stanca. Certo, gli Atomic Bitchwax sono riusciti a condensare in un periodo di tempo relativamente ristretto almeno venticinque anni di musica a stelle e striscie, passando con disinvoltura dal progressive settantiano al garage sessantiano e riuscendo a mantenere un trademark riconoscibilissimo su ogni singola nota. Il meglio il terzetto lo offre proprio sui passaggi più tecnici e progressivi, dove vengono chiaramente a galla le abilità strumentali dei singoli e dove vengono utilizzati anche dei synth dal sapore vagamente space che fanno molto vintage. Insomma, i ragazzi ci offrono un viaggio affascinante, praticamente tutto strumentale attraverso la musica, un viaggio che di volta in volta si rivela onirico, cangiante, scanzonato e cervellotico. Se tutto ciò fosse stato condensato in singoli brani, probabilmente non ci sarebbero stati punti morti e tutto sarebbe filato via liscio come l’olio. Invece il richiamo della lunghissima suite settantiana ha colpito implacabile e ha fatto si che “The Local Fuzz” rimanga solamente un buon lavoro, che sarebbe stato perfetto come brano di chiusura della serie dei “Guitar Hero”.