7.5
- Band: THE BLACK QUEEN
- Durata: 00:46:09
- Disponibile dal: 28/09/2018
- Etichetta:
- Federal Prisoner
Spotify:
Apple Music:
Non stupisce che Greg Puciato, frontman dei The Dillinger Escape Plan a partire dal secondo disco “Miss Machine” fino all’epitaffio del 2017, riveli compiutamente la sua vocalità intimista con il progetto The Black Queen. Con la sua entrata in formazione, i pionieri del math-core si erano addentrati in un cocktail di nevrosi che ben volentieri si accompagnava a spunti melodici tenui, valorizzati dal timbro pop di Puciato. I The Black Queen compaiono invece sul mercato nel 2016 con il debut “Fever Daydream”, ma nascono cinque anni prima, nel 2011. Assieme al singer originario di Baltimora, ci sono Joshua Eustis (noto per il suo combo di musica elettronica Telefon Tel Aviv e la presenza nella line-up di Nine Inch Nails e Puscifer in alcuni tour) e Steven Alexander Ryan, che può vantare a sua volta collaborazioni come tecnico del suono con Nine Inch Nails e A Perfect Circle. I background eterogenei dei tre confluiscono in una musica ombrosa e minimale, un synthpop raffinato che si riveste di una patina nerastra e si fa inghiottire in un panorama digitale di sintetizzatori ovattati e percussioni elettroniche educate, a volte grintosamente groovy, altrove dolcemente carezzevoli.
La capacità di Puciato di avvinghiare le note e costruire chorus irresistibili, così lampante nei The Dillinger Escape Plan, non deve trarre in inganno e indurre a credere che “Infinite Games” sia un disco trascinante e zeppo di anthem da cantare già dopo il primo ascolto. Nient’affatto. Sono sonorità rarefatte quelle frequentate dal terzetto, che asciuga il suo stile di qualsiasi ridondanza ed eccessivo orpello, concentrandosi su pochi elementi per volta. Fondamentalmente, ad ogni canzone si cerca di disegnare uno scenario, un’ambientazione, che possa liberare le tonalità più morbide del range vocale di Puciato. Il cantante non si fa pregare nel destreggiarsi in sussurri malinconici, emananti fragilità e languore, senso di prostrazione e disillusione. Si nota quasi una vena di timore, di piacevole incertezza, nelle strofe accennate con cautela, sospiranti, incastonate magari in percussioni decise e molto caratterizzanti come quelle di “Thrown Into The Dark”. La voce qui può emergere in un refrain freddo e suggestivo, che sa di pungente desolazione. Un brano comunque sfuggente, catchy come la tracklist è solo in parte, e difficilmente lo è di primo acchito. Il tono più dark di una “No Accusations”, ad esempio, circuisce solo col tempo, rivelando barlumi di angosce mai sopite e inquietudini che affiorano appena, subito addormentate da modulazioni di sintetizzatori che si compromettono senza paure con rimandi r’n’b e il seduttivo storytelling di Puciato.
Refoli di un ambient cupo, evocante struggente solitudine, riempiono una traccia mirabilmente notturna come “Your Move”, rappresentazione del pop quando diventa emanazione di un’anima in pena, chiusa in se stessa. Quando l’elettronica sale d’intensità e le percussioni si fanno incalzanti, i The Black Queen guadagnano in immediatezza, schiarendo leggermente le atmosfere (“Lies About You”), concedendosi sempre un retrogusto amaro, tramite un calibrato gioco di contrasti nei suoni di sintetizzatore e in arrangiamenti camaleontici. Ogni traccia ha un suo ritmo distintivo, che nel battere ripetitivo sulle stesse cadenze si avvicina all’industrial e costituisce l’elemento di immediato richiamo. Una calamita per attrarre e invitare a concentrarsi sulle ariose trame vocali, che nel loro dormiveglia possono indulgere in un irreale romanticismo onirico (“Impossible Condition”) oppure prestarsi a un andamento da sofisticato dancefloor di lusso (“Spatial Boundaries”). Alle relativa linearità di “One Edge Of Two”, paradossalmente a fine album, quando ne sarebbe stato il biglietto da visita ideale, il compito di svelare con la massima sincerità la sensibilità di di questi musicisti, bravi nel calarsi in una realtà che risente delle esperienze in altri contesti, eppure svetta di una personalità netta e che non vuole richiamare per forza quanto prodotto altrove.