7.5
- Band: BIG BRAVE , THE BODY
- Durata: 00:38:30
- Disponibile dal: 01/10/2021
- Etichetta:
- Thrill Jockey Records
Spotify:
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A volte le premesse sono tanto lontane dal risultato finale che ci si ritrova con una sensazione di spaesamento. Straniamento, quasi. E questo è certo il caso di “Leaving None But Small Birds”, album di collaborazione tra due entità che hanno fatto della “pesantezza” la loro bandiera più imponente.
Le due band, in questo album uscito come d’improvviso su Thrill Jockey (come ormai da tradizione The Body), si uniscono per una collaborazione congiunta che, sulla carta, suggerirebbe una fusione complementare tra il marchio del duo sludge/noise più rumoroso e imprevedibile della scena – The Body – e l’ibrido doom metal/drone di BIG|BRAVE. Abbandonando però quelle carte così prevedibili, ci si trova di fronte ad un melting pot lontano anni luce dalle aspettative. Sicuramente complementari, i due monicker si danno ad un folk vecchio stile, da porticato, radura e pagliuzza in bocca. Da oltre 20 anni i due di Portland hanno cercato di sconfinare in territori sempre più inusuali, mantenendo sempre una compattezza e una personalità autentiche, riconoscibili, molto spesso (anche se non sempre) fascinose. I ragazzi di Montreal, dalla loro, hanno portato a maturazione una formula efficace di sludge rock rumoroso e dilatato, orientato ad un lato “sperimentale” sempre più spiccato ma mai sfacciato. Ecco, dunque, probabilmente, riconfigurando le cose, si sentirà in “Hard Times” un barlume di classe per cui vale la pena che la musica pe(n)sante sia all’appannaggio di formazioni (e collaborazioni) come questa. La ripetitività, l’ossessione del pattern psichedelico e ridondante, con la voce della Wattie e i droni di Chip King e Lee Buford, riscoprono l’epopea folk americana di Van Zandt, rumorizzandola a proprio modo. “Once I Had A Sweetheart” ricorda il Tom Waits più bucolico, seppur rappresentato dalla sempre più autoritaria Wattie, sempre meno Jarboe e sempre più se stessa, tanto libera quanto contaminata. “Black Is The Color” è forse l’esempio più rurale che spiega cosa i due nomi hanno cercato di ricreare in questa collaborazione. “Leaving None But Small Birds” è un verso tratto da quella murder ballad di noise, violini, pianoforti e distorsioni che è “Polly Gosford”. “Ha coperto la sua tomba / e si è affrettato a casa / Lasciando solo piccoli uccelli / e il suo destino a lamentarsi“: un’immagine nelle canzoni tradizionali che evoca l’alienazione e l’isolamento dei perseguitati.
Canzoni e inni tradizionali rielaborati da terre come l’Appalachia, il Canada e l’Inghilterra si frappongono ad un flusso coeso, che sembra meraviglioso non aver immaginato prima poter provenire da queste entità. Concepito come una sfida da Buford per emulare lo stile rustico dei dylaniani The Band, l’album proietta sia The Body che i BIG|BRAVE in una luce completamente nuova che dovrebbe comunque risuonare negli appetiti dei fan e renderli di nuovo ringalluzziti dopo la pesantezza e la ripetitività di certe proposte dei rispettivi cataloghi (soprattutto per i The Body!). Un’esperienza che ci sentiamo di consigliare: un album che distilla l’approccio pionieristico dei due ensemble alla musica pesante in salmi per i dimenticati e trenodie dell’amore perduto.