6.5
- Band: THE BODY
- Durata: 00:38:20
- Disponibile dal: 29/01/21
- Etichetta:
- Thrill Jockey Records
Spotify:
Apple Music:
Anno nuovo, nuovo disco dei The Body. Lee Buford e Chip King appaiono ormai un duo instancabile e probabilmente le tonalità di noise dentro il loro corpo devono trovare via d’uscita per non farli implodere. “I’ve Seen All I Need To See” è una sorta di ‘ritorno’ al sound nucleare del duo, quello portato in scena nei vari live underground che la band di Portland ha imparato a rendere emblematici. Quel buco nero di atrocità sonora e disfattismo nichilista puro che ormai risulta marchio di fabbrica.
Certo, la catarsi deve passare attraverso la sofferenza, il rumore, il sudore: questo ce lo avevano fatto capire bene. E, forse abbandonando un po’ quella vena più elettronica e sperimentale delle ultime prove discografiche, i The Body sembrano non volere procedere oltre, ma assemblarsi in quell’unità e quello standard (se mai si possa parlare di standard) caratteristico per il progetto. Le parti in spoken word si alternano alle consuete grida/lamenti e il suono bombastico di batteria riverbera contro le mura saturate delle bordate sonore delle lamiere. Chrissy Wolpert e Ben Eberle offrono un contrappunto alle voci ma sono ben tenuti a bada, lasciando tutto lo spazio più devastante ai guerrieri sonori Buford/King. Non c’è una vera sezione del percorso – sia essa narrativa o timbrica – che si differenzia dal medesimo magma ossessivo e dunque, come quasi sempre accade, i quaranta minuti sono da gestire per la loro interezza ed omogeneità. La peculiarità, forse, è proprio il lavoro di produzione, che associa al mix e al master una tonalità satura e disturbante in grado di ‘entrare’ nelle orecchie fino in fondo, nuda e cruda. Questo è il patto per la giusta esperienza uditiva, altrimenti poco resta o può restare da questo ascolto.
Se il rosaceo “No One Deserves Happiness” era stato un lume attorno a cui si pensava potesse ruotare il futuro dei The Body, qui, invece, si fa capo ad un saldo dietrofront, o meglio, ad una saldatura sintomatica sullo status di noise-duo. Questi sono i The Body che abbiamo imparato a conoscere, proprio nel centro sociale underground di qualche cittadina, con le orecchie ancora sanguinanti dal loro esprimersi in musica; forse hanno visto quello che c’era da vedere, e lì si sono fermati.