8.0
- Band: THE BODY
- Durata: 00:50:20
- Disponibile dal: 11/10/2019
- Etichetta:
- Thrill Jockey
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L’album dei remix dei pezzi dei The Body. Un’esperienza doverosa, probabilmente. Sicuramente un’esperienza forte. Da palati marchiati a sangue dalla musica estrema ed orecchie già abituate al sanguinamento. Poche band vantano un panorama di collaborazioni e di uscite così vasto negli ultimi tempi: un mondo di musica alieno, totalmente inclusivo, reazionario. Ci ricordiamo solo ultimamente degli Haxan Cloak, dei Full Of Hell, di “No One Deserves Happiness” di solo poco tempo fa, un sacco di altro materiale pubblicato negli ultimi nove anni. E – non lo si dimentichi – una carriera che sembra essere essere arrivata al traguardo ventennale. Tanti auguri, The Body.
Arriva dunque “Remixed”: l’album che presenta una delle discografie più visionarie, destabilizzanti, violente in una chiave nuova, donando a quella oscurità una veste elettronica nuova, velata di differente effetto ma di pari straniamento sonoro. Sembra infatti un colpo non indifferente percepire “A Curse (Remixed by Moss Of Aura)”, che non è nient’altro che Gerrit Welmers dei Future Islands o la successiva “Adamah (Rimixed by OAA)” per ritrovarsi in un rave techno-chimico, annichiliti da luci, fumi e droghe sintetiche (purtroppo o per fortuna non fornite da Thrill Jockey). Chip e Lee se la ridono, intanto. Un’oasi salvifica in mezzo a questo concentrato di elettronica annichilente è difficile da trovare. E si continua a vagare nei territori simil-8-bit di “Ten Times A Day Everyday A Stranger (Remixed by Container)” dove accade di trovarsi veramente perduti. Storditi. Distrutti. Della destrutturazione completa delle opere mefitiche e caustiche della band di Providence, Rhode Island resta la reminiscenza vocale (se mai potrà definirsi tale) di Chip King, il quale ricorda che tra il dub, la techno, la darkwave, l’industrial che permea questa uscita discografica c’è comunque un qualcosa che tiene il conto. E a cui probabilmente toccherà pagare a fine ascolto questa abbuffata di rumori, beat e urla. Spunta fuori il ricordo thomyorkiano (come non potrebbe in questo mare…) nel superbo remix della grandissima Moor Mother, regina di questa interpretazione ancora più lo-fi di “Off Script”. Siamo in territori tanto fuori dal Pianeta Terra che definirli artistici strapperebbe un sorriso ironico. Eppure si tratta di un percorso che oltre che folle non potrebbe definirsi se non nei canoni della sperimentalità artistica. Altra chicca è la rievocazione di “Can Carry No Weight” a cura del mastermind dell’elettronica pensante Peter Rehberg (a.k.a. Pita) o la escursione dub dal sapore reggae, a cura di Seth Manchester, di “Western Dub”, in cui ci si ricorda di essere in un mondo bello-perché-vario. Ah, certamente – ciliegina sulla torta, naturalmente marcita – impossibile dimenticare il conclusivo contributo della sorellina Kristin Hayter aka Lingua Ignota in “Hallow Hollow”, questa molto vicina alla tonalità originale. Sentite queste rievocazioni (più che veri e propri remix, che comunque permane come giusto termine tecnico) resta difficile sorvolare su quanto la musica sperimentale ed estrema possa collimare, attraverso la tecnologia e la pazzia di certi individui, in forme tanto malate.
I The Body regalano questa perla unta di malessere elettronico, onde malsane perse nell’etere di un rave industriale da post-apocalisse. Tutto bene, dunque. Ancora una volta.