7.5
- Band: THE BODY , THE HAXAN CLOAK
- Durata: 00:40:02
- Disponibile dal: 01/03/2014
- Etichetta:
- RVNG
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Mamma mia, che orrore. Un EP sudicio e infimo in autunno del 2013, ovvero l’insulso “Master We Perish”, seguito a ruota da “Christs, Redeemers” un full length spaccaschiena uscito appena un paio di mesi fa, e ora questo. Questo orrore onnipotente. Non si fermano i The Body, il mondo fa troppo schifo per fermarsi a guardarlo, non bisogna mai alzare la testa, l’orrore va respirato a pieni polmoni, e il calvario che è la loro musica non va mai arrestato. Ma Chip King e Lee Buford non sono certo i tipi che amano ripetersi, che concepiscono lo stallo o che sarebbero minimamente d’accordo con il potenzialmente annoiare l’ascoltatore, ed ecco quindi che il duo, visto che non sa come rimanere con le mani in mano, fa fronte alla propria prolificità senza freni mescolando le carte in tavola volta dopo volta per non ripetersi mai e proponendo invece lavori che hanno come unico obiettivo quello di scuotere l’ascoltatore dalle fondamenta, in un tripudio di imprevedibilità e devastazione senza fine. Stavolta dunque, per scaraventarci in un altro oblio senza tregua, i due hanno pensato bene di unire le forze con il nuovo genio dell’electro-industrial moderno, ovvero Bobby Krilic – conosciuto al mondo come The Haxan Cloak – altro personaggio dal genio tanto stratosferico quando poco equilibrato che nel 2013 ha licenziato il miglior album di elettronica deviata dell’anno. Il risultato del sodalizio tra le due entità? Un’ecatombe senza fine, un calvario disumano di scarificazioni industriali mosse al rallentatore. Il concetto stesso di “doom” preso alla lettera, ovvero un vero e proprio oblio di violenza insensata, quintuplicato in un massacro di deformità cibernetiche. Beat grossi come elefanti mummificati, ferite talmente urticanti da far rabbrividire e lacerazioni noise talmente abrasive da scavare solchi nei timpani. I The Body dal canto loro hanno mantenuto il loro impianto sonoro invariato, somministrandoci un’overdose di basse frequenze incredibile. Muri sterminati di magma putrescente convogliata in deflagrazioni titaniche dal volume inverecondo. Il riff doom che diventa un’implosione di dolore. Lo sludge che diventa una fissione nucleare vera e propria, con le voci stridule e raccapriccianti di Chip Lee sempre lì a raccontarci un dolore impossibile da descrivere, a rammentarci, ululato dopo ululato e vomito dopo vomito, quanto questa band sia iniettata di dolore, disperazione e strazio totale. Dal canto suo invece Krilic usa le bitumose e massacranti ritmiche dei The Body come propellente per una pestilenza, come vergognosa rampa di lancio per catapultare sul povero ascoltatore una cascata di lacerazioni noise post-industriali e trivellazioni digitali spietata e letale. Immense piogge acide di rumore statico che piovono dal cielo torrenziali, come migliaia di coltelli con le lame puntate dritte verso il centro della terra. Beat che sgorgano dal sottosuolo come un’emorragia di dolore, spaccando la crosta terrestre e sgorgando fuori come un’invasione di vermi inarrestabile. E’ davvero un’accoppiata straziante, questa, un’unione che tutti temevamo, che non avremmo mai voluto veder esistere, e che invece ha preso forma per annientarci, e adesso i nostri peggiori incubi stanno prendendo forma, e questo disco ne è la conferma… “I CARRY THE SEEDS OF DEATH WITH ME”.