8.5
- Band: THE CLAYPOOL LENNON DELIRIUM
- Durata: 00:47:31
- Disponibile dal: 22/02/2019
- Etichetta:
- ATO Records
- Distributore: Audioglobe
Spotify:
Apple Music:
Ci sono band che sembrano nate per caso, o per gioco, o come frutto di un paio di serate passate a strimpellare, chiacchierare e probabilmente a fumare grandi canne tra amici. Era inconsciamente questa l’impressione iniziale che poteva darci la nascita del The Claypol Lennon Delirium: un musicista ipertrofico e poco portato a stare con le mani in mano (Claypool) che incontra un artista da un paio di decenni alla ricerca della sua piena cifra stilistica (Lennon), con il minimo comun denominatore di un notevole genio poco incensato dalle parti stesse. Ma che ha saputo esplodere appieno nell’incontro tra i due. Dopo un primo full length sicuramente piacevole ma ascrivibile all’ambito del divertissement di cui sopra, i nostri hanno paradossalmente iniziato a fare sul serio con il successivo EP; uno scherzo nello scherzo, apparentemente: quattro cover raccolte e pubblicate per il Record Store Day del 2017, brave a dimostrare l’eterno amore (di Claypool) per i Pink Floyd, passando poi per The Who, King Crimson e Flower Travellin Band. Ma nella riscrittura di questi brani si poteva percepire molto di più di una boutade; i due si erano annusati ancora meglio, avevano messo in campo le loro passioni ed eredità e potevano essere pronti al grande salto, che è effettivamente avvenuto con questo nuovo “South Of Reality”. Qui i due si dividono tutti gli strumenti, a parte la batteria affidata a Paulo Baldi, così come le voci, che si intrecciano tra la caratteristica sonorità nasale di Les e la trasognata psichedelia di Sean ricordando il duo di cantanti e compositori più famosi della Storia: parliamo ovviamente di Lennon padre e McCartney, di cui tutto l’album è debitore, ma soprattutto esaltante, colto e ben riuscito omaggio. Claypool morde parzialmente il freno in termini di roboanti passaggi di basso, Lennon fa un bel respiro e non si vergogna di saper suonare, e bene, le cose che papà ha inventato, e così il loro circo delirante si muove tra “Magical Mystery Tour” e “Sergent Pepper’s” con grazia e inventiva. Sono nove brani, tra cui un paio di intricate ma godibili suite, colorati e cangianti; che sanno divertire dal primo ascolto, ma che si rilevano caleidoscopici con il passare del tempo; alcuni più diretti e “pop”, altri più vicini a quel confine tra prog e psych di cui, nelle rispettive carriere, i due hanno già saputo rivelarsi maestri. Il trittico di brani iniziali alza le mani con un sorriso sugli espliciti riferimenti succitati, ma inizia poi a crescere l’apporto di sonorità che vanno da brevi stacchi free jazz alla bossanova, passando per l’uso discreto ma ammiccante di chitarre surf e di ogni possibile accorgimento per montare un carrozzone-freak che non annoia mai. Mettete i vostri pantaloni a zampa, collanine e magliette candeggiate, affondate nel vostro divano e godetevi un trip negli anni Sessanta, rivisto e corretto con rara maestria.