7.5
- Band: THE CROWN
- Durata: 00:47:29
- Disponibile dal: 16/03/2017
- Etichetta:
- Metal Blade Records
- Distributore: Audioglobe
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Annunciato con grandi cerimonie come un ritorno in grande stile – anche perchè il gruppo si è accasato nuovamente presso la Metal Blade Records, etichetta cha ha pubblicato i suoi album più fortunati – “Cobra Speed Venom” riporta fra noi i The Crown, a quasi tre anni esatti dal controverso “Death Is Not Dead”. In vent’anni di musica (quasi trenta se si considerano gli esordi a nome Crown Of Thorns), la band ha creato un linguaggio musicale subito riconoscibile, spesso identificabile in un impetuoso mix di death, thrash metal e spirito rock’n’roll. Un vortice sonico capace di passare da melodie luciferine a sconvolgenti impennate di vera e sguaiata ignoranza. Una volta addentratisi nella nuova prova, sono sostanzialmente due le principali novità da annoverare: la prima è una furia ostentata e dilagante, diretta conseguenza di un ritorno nei riff ad uno stile prettamente death-thrash dopo la parentesi più “docile” del precedente album. La seconda riguarda invece il piano strumentale/esecutivo, dove si fa notare il dinamismo del nuovo batterista Henrik Axelsson, il quale in più punti è spesso vicino ad emulare l’esuberanza del compianto Janne Saarenpää. Non è un mistero per nessuno che da qualche anno a questa parte l’estro e il tiro dei The Crown non siano più quelli dei cosiddetti tempi d’oro; inoltre, è indubbio che i continui confronti con opere sopra le righe come “Hell is Here”, “Deathrace King” o “Crowned In Terror” giochino loro contro. Fatto sta che i loro ultimi dischi, per un motivo o per l’altro, non sono mai riusciti ad imporsi al grande pubblico o a venire considerati allo stesso modo degli highlight del loro repertorio. A “Cobra Speed Venom” potrebbe perciò toccare la stessa sorte dei suoi diretti predecessori, anche se, oggettivamente, gli svedesi sono riusciti qui a ricatturare almeno parte della verve di un tempo. Con pezzi come “Destroyed by Madness”, “In The Name of Death”, “We Avenge!”, la title track e “World War Machine” il quintetto si dimostra infatti abilissimo nello sciorinare suggestioni mefistofeliche e momenti di alto coinvolgimento, premendo parecchio sull’acceleratore, ma senza scadere in un caos fine a se stesso. Di contro, tracce come “Rise in Blood” e “The Sign of the Scythe”, inframezzate dalla delicata strumentale “Where My Grave Shall Stand”, lasciano un po’ di amaro in bocca nel loro affidarsi senza grande ispirazione a formule ormai note e abusate. Il disco si conclude insomma senza grandi sussulti, facendo appunto rimpiangere non poco l’incipit e la parte centrale. Ad ogni modo, vista anche la cura con cui è stato confezionato il tutto (alla console è tornato il famoso Fredrik Nordström), non ci sembra il caso di lamentarsi: “Cobra…” resta il frutto di una band dallo stile distintivo e dalla grande esperienza, che rispolvera lo stile The Crown di una dozzina (abbondante) di anni fa senza apparire pleonastico. Un disco insomma per i fan di un tempo, concepito con gusto e raziocinio.