7.0
- Band: THE CROWN
- Durata: 00:54:34
- Disponibile dal: 11/10/2024
- Etichetta:
- Metal Blade Records
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Proviamo a immaginare una corona di spine che non affonda nelle memorie del passato, ma che si stringe attorno al presente con la proverbiale forza di chi sa di non avere più granché da dimostrare: “Crown of Thorns”, il nuovo album dei The Crown, è esattamente questo.
Nonostante il titolo possa inizialmente far pensare a un ritorno alle origini, a quei primi passi quando la band era conosciuta proprio come Crown Of Thorns, il lavoro non si immerge nelle atmosfere black-death svedesi di un album di culto come “Eternal Death”. Per il gruppo, il tempo degli esperimenti è finito da tempo, di conseguenza non ci si stupisce nel constatare che anche “Crown Of Thorns” prosegua lungo la strada tracciata dalla frangia più fortunata della discografia – quella su cui regnano celebri album come “Deathrace King” e “Crowned in Terror” – mantenendo quindi quella miscela di death-thrash con echi punk e melodie coinvolgenti che ha caratterizzato la band anche negli ultimi tempi.
Sulla scia delle recenti opere pubblicate per Metal Blade Records, anche “Crown of Thorns” parte con il piede giusto, offrendo una sequenza iniziale fulminante, carica di aggressività e arie euforiche. Il trademark sonoro della band è evidente fin dai primi brani, con Johan Lindstrand e soci che riescono a mantenere il livello alto grazie a una notevole qualità esecutiva.
Tra i pezzi più riusciti spicca sicuramente “Churchburner”, che potrebbe tranquillamente far parte della tracklist di “Crowned in Terror”. Il classico pezzo violento e inarrestabile, figlio di tutte le esperienze maturate dai membri del gruppo, in cui spiccano sia il riffing severissimo quanto il puntuale e arguto contrappunto melodico. Qui viene subito sottolineato uno dei tipici punti di forza della band, ovvero lo sforzo costante nel dare a ogni brano un carattere definito. I The Crown sanno come curare le strutture delle loro canzoni, permettendo ai riff di respirare e alle melodie e ai chorus di emergere nei momenti giusti.
A seguire, colpisce “Gone to Hell”, traccia che mostra un lato più catchy e sornione, senza però tradire lo spirito ruspante della formazione. Qui si possono notare le varie influenze del chitarrista e principale compositore Marko Tervonen – da sempre fan di band come Paradise Lost e Danzig – i cui fraseggi spesso hanno trovato spazio nel songwriting dei The Crown, anche se in contesti generalmente più frenetici. “Howling at the Warfield” si distingue quindi anch’essa per la sua contagiosa orecchiabilità, nonostante una struttura sostenuta che rievoca nuovamente atmosfere tipiche di “Deathrace King” e “Crowned…”.
In sostanza, lo stile è ormai ampiamente codificato e non si ravvisano grandi sorprese, ma la scrittura si mantiene per lo più salda e convincente, nonostante nella seconda metà della tracklist si cali un po’ a livello di brio e impatto, prima che la conclusiva “The Storm That Comes” – una delle vette emozionali del disco – colpisca per il suo registro più drammatico e avvolgente. Già le ultime due opere avevano mostrato una certa flessione nella seconda metà, ma anche questa volta si può affermare che gli episodi riusciti siano a ben vedere più numerosi di quelli dozzinali, per un’esperienza di ascolto che riesce a intrattenere senza grossa fatica. Una tale solidità complessiva, dopo decenni di carriera, vari cambi di line-up ed esperienze sfortunate, non è da dare per scontata. Bentornati, The Crown.