7.5
- Band: THE CROWN
- Durata: 00:50:28
- Disponibile dal: 12/01/2015
- Etichetta:
- Century Media Records
- Distributore: Universal
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Eternamente volubili, i The Crown ritornano con un nuovo album dopo l’ennesimo passaggio di consegne dietro al microfono. Dopo essersi affidati all’esperto Jonas Stålhammar (Bombs of Hades, God Macabre) per il come-back album “Doomsday King”, il gruppo ha deciso di dare un’altra opportunità allo storico Johan Lindstrand, già frontman tra il 1990 e il 2001 e il 2002 e il 2004. Ci auguriamo che questa reunion sia quella definitiva e che gli svedesi possano d’ora in avanti avere una carriera più stabile, anche e soprattutto perchè il nuovo “Death Is Not Dead” si rivela opera completa e gradevole. “Doomsday King” – scritto per intero dal bassista Magnus Olsfelt – era stato un buon ritorno, ma alla lunga quel disco peccava di ripetitività, con la maggior parte dei brani incentrata quasi esclusivamente sull’anima thrash della formazione e su un lavoro di chitarra tutt’altro che originale. Nel 2015 la band invece torna ad infervorare, rispolverando un songwriting più variegato e dinamico, che rende piena giustizia al suo storico DNA, da sempre un filo rosso che unisce Slayer, primi Metallica, Morbid Angel, un pizzico di punk e rock’n’roll e, ovviamente, il vecchio panorama death e black metal svedese. Per l’occasione, Olsfelt è tornato a collaborare con il chitarrista Marko Tervonen, l’altro compositore storico del gruppo, e i risultati si sentono: il disco ritrova in parte l’equilibrio dei vecchi tempi, placando le sfuriate ad oltranza e l’effetto stordente propri del predecessore con dosi più robuste di groove e melodia. Senza essere propriamente morigerato – stiamo pur sempre parlando dei The Crown! – “Death Is Not Dead” è un album che scava più a fondo nel background e nella storia della band, mettendone in mostra le varie sfaccettature con più calma e raziocinio. Alle consuete e piacevoli bordate thrash-death si alternano quindi ritmati midtempo su cui è un piacere fare headbanging, mentre ai soliti fraseggi slayeriani seguono cadenze death’n’roll e melodie subito riconoscibili. Forse per sottolineare ulteriormente questo rinnovato approccio, i Nostri includono nella tracklist anche una strumentale dai lievi rintocchi folk (“Meduseld”) che rimanda al passato a nome Crown Of Thorns e alla scena di Gothenburg di metà anni Novanta e, inoltre, arrivano ad omaggiare i Paradise Lost, mescolando poesia e sgarbatezza in una convincente cover del classico “Eternal”. Se poi da un lato si resta con un po’ di amaro in bocca per la legnosità del drumming (il gruppo ha perso il fenomenale Janne Saarenpää e ha lasciato che Tervonen registrasse anche le parte di batteria), dall’altro non si può fare a meno di lodare la prova del figliol prodigo Lindstrand, qui ai livelli massimi di cattiveria proprio come su un “Hell Is Here”. A conti fatti, i The Crown, a dispetto di una carriera ormai lunghissima, riescono ancora una volta a rinnovarsi un pochino in un ambiente ormai regolarizzato come quello death-thrash, dando alla luce un album privo di grandi cali di tensione e forte di qualche perla indiscussa (sentite la bomba “Godeater”); un album che avvalora la loro maturità e che finisce per rappresentare un altro solido capitolo di una sempre più corposa discografia.