7.5
- Band: THE DEAD DAISIES
- Durata: 00:41:55
- Disponibile dal: 06/04/2018
- Etichetta:
- SPV Records
- Distributore: Audioglobe
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La fiamma dell’hard rock crepita assordante e scalda i cuori nel quarto album dei The Dead Daisies. Il collettivo capitanato da John Corabi non si smentisce nemmeno stavolta, tenendo fede a quella missione di aggiornare il classic rock secondo canoni d’ascolto più ‘giovani’, palesata chiaramente nelle prime mosse discografiche datate 2013. Per il nuovo “Burn It Down”, quarto full-length della formazione, si segnala l’ingresso di un altro indiscusso all-star dello strumento nella posizione di batterista, Deen Castronovo (Journey, Bad English, Ozzy Osbourne), giunto a rimpinguare una line-up già stellare. Tecnica, feeling ed esperienza concorrono a formare una piccola enciclopedia di quello che dovrebbe essere il rock degli anni 2010: appassionato, carico, movimentato, divertito e divertente e, cosa fondamentale, maledettamente heavy. Un tratto comune dell’intero album è che i singoli riff, diretti discendenti della tradizione rock-blues statunitense, sono inondati di acciaio fuso e rivestiti di una scocca metallica tanto spessa quanto elastica. La coppia Aldrich-Lowy sfodera un arsenale variegato, dosando andamenti rolleggianti senza lesinare in potenza e distorsione, alta e pressante fin dall’opener “Resurrected”. La pastosità del sound e il tocco possente della sezione ritmica sono una costante all’interno di “Burn It Down”, opera che ha nel furore un suo tratto distintivo e sa badare al sodo, pur regalando momenti di alta scuola sul piano strumentale un po’ ovunque. Le compressioni chitarristiche non sviliscono le melodie portanti, al contrario, le sostengono con buon gusto, come nell’insistente crescendo di “Rise Up”. Rocker ad ampio spettro, non ancorati a un singolo metodo di lavoro, i The Dead Daisies sono abili e ordinati anche nel frequentare ambiti strettamente blues; si senta la titletrack, che si espande oziosa, prima di esplodere di energia all’altezza del refrain. Se le scorribande chitarristiche, eccellenti anche sul piano solistico, rappresentano l’architrave del disco, va rimarcato l’invidiabile stato di forma di John Corabi, cantante che con la sua timbrica maschia, lievemente sporca, consente qualsiasi soluzione passi in testa agli altri musicisti, fosse un pezzo dirompente e pulsante adrenalina (“Bitch”), oppure una sentita ballad (“Judgement Day”, “Set Me Free”). Ci sono almeno tre decenni di rock’n’roll di classe (dagli anni ’70 ai ’90) che vengono rivisitati, soffermandosi su cadenze non troppo spinte, ideali per far lavorare le sei corde al massimo del potenziale. Corabi utilizza preferibilmente una metrica saltellante, giovandosi di un contributo fondamentale nel basso deliziosamente pulsante di Marco Mendoza, maestro di groove (impossibile stare fermi durante una “Can’t Take It With You”). L’epoca d’oro dell’hair metal e dello sleaze rock si palesa con vivido fulgore soprattutto nel colpo di coda conclusivo di “Leave Me Alone”, canzone scoppiettante che ricorda in pochi minuti Dangerous Toys, Skid Row ed Electric Boys, roboante e sbarazzina quanto basta per far tornare tutti quanti ai propri lontani teen-years e divertirsi come pazzi in interminabili nottate dissolute. Un super-gruppo di sostanza, poche chiacchiere e molti fatti, i The Dead Daisies!