THE DEAD DAISIES – Holy Ground

Pubblicato il 16/01/2021 da
voto
7.5
  • Band: THE DEAD DAISIES
  • Durata: 00:47:58
  • Disponibile dal: 22/01/2021
  • Etichetta:
  • Steamhammer Records
  • Distributore: Audioglobe

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Fuor di clichè e patetici sguardi al passato, i The Dead Daisies rappresentano un riuscito aggiornamento di sonorità hard rock classiche ai tempi moderni, con tutto quel carico di pesantezza, potenza e pulizia sonora necessario a traghettare musica immortale nell’attualità. Una modernità carica di feeling e trasporto emotivo che per il nuovo disco ha per centro focale una delle voci iconiche del rock internazionale, quella di Glenn Hughes, entrato per rimpiazzare John Corabi, finora il ruvido cantore del suono bombastico della band. La voce di Glenn, in line-up anche al basso, va a sposarsi perfettamente alla proposta del gruppo, iniettandole un dosaggio ancora superiore di blues senza per questo levargli fragore e impetuosità. Il resto della formazione, con Doug Aldrich e David Lowy alle chitarre e Deen Castronovo alla batteria, è rimasto il medesimo del fortunato “Burn It Down” e confeziona una tracklist sovrabbondante di adrenalina, travolgente, compatta nelle sue dinamiche poderose ed equamente divisa tra carica dinamitarda e andamenti più agili e relativamente rilassati.
La vocalità di Hughes, ben differente da quella di Corabi, non va a modificare chissà quanto l’involucro sonoro; ci sono ritmi leggermente più aperti e qualche lieve smussatura generale nel riffing, ma siamo sul piano dei dettagli, perché la scocca metallica dei The Dead Daisies non è stata scalfita: si connota soltanto di sfumature in parte differenti, mentre è evidente come nell’impasto strumentale il basso dia un’effervescenza particolare, si ponga spesso a guida dei pezzi, operi indipendente dalle chitarre e si lanci in pattern fantasiosi e poco attesi. Come accaduto nei dischi passati del gruppo, il riconosciuto talento degli interpreti non va a sfogarsi in una spasmodica ricerca di attenzioni per l’operato dei singoli e quel che conta, come è sacrosanto che sia, sono le canzoni.
“Holy Ground (Shake The Memory)” è un’opener impeccabile nello sbattere in faccia lo stato di salute del quartetto; pulsante vitalità, groovy, catchy e in costante movimento, grazie a un dialogo effervescente tra basso e batteria, con quest’ultima a dare sia tocchi heavy, che a giocare coi piatti per riempiere i piccoli vuoti tra gli strumenti. Invidiabile lo stato di salute e l’elasticità di Hughes, malleabile ai contesti, mai uguale a se stesso; è un piacere sentire come adatta la voce e alterna asprezza e morbidezza a seconda delle cadenze del pezzo in “Like No Other (Bassline”), ossessiva nel refrain quanto sinuosa nello sgusciare via dalla monotonia e a presentare ritmi poco lineari. Ecco, il vecchio gusto funk di Hughes, pur non così schiettamente in evidenza né affatto predominante, incide nei saltellii, nelle parsimoniose sincopi di queste tracce, che nel loro movimentarsi sinuoso non vanno a indebolire la loro forza. La compressione chitarristica è una leva utile a dare maggior spessore all’influenza blues, come nella dirompente “Come Alive” o nella più sorniona “Bustle And Flow”; si sente insomma un certo fascino retrò di sottofondo, che non diventa semplice amarcord, proprio per il trattamento aggressivo e assieme passionale riservato agli strumenti.
Hughes dispensa le sue magiche tonalità da voce ‘nera’ in “My Fate”, troneggiando su un chitarrismo spezzettato che anche nelle sue fasi più semplici offre piccole variazioni di forte espressività. La densità ciondolante del suono irretisce con estrema facilità, qualche incursione di tamburello sullo sfondo non fa altro che arricchire un suono sfavillante, che pur essendo heavy e massiccio non toglie respiro alle melodie. Ben studiati pure gli interventi corali, come nelle appena accennate seconde voci di “Unspoken”, o in quelle più grezze della sleazy “30 Days In The Hole” (cover degli Humble Pie, l’originale compare nel loro quinto album “Smokin'”). Mancano illanguidimenti romantici? Ci pensa a colmare il vuoto la prolungata “Far Away”, staccata (in parte) dalla dimensione hard’n’heavy del resto del lavoro: una gradita evasione che, se ce ne fosse bisogno, mette in luce tutta la raffinatezza di scrittura della band. Un altro centro per i The Dead Daisies, una sicurezza nella mutevolezza della musica dei nostri tempi.

 

TRACKLIST

  1. Holy Ground (Shake The Memory)
  2. Like No Other (Bassline)
  3. Come Alive
  4. Bustle And Flow
  5. My Fate
  6. Chosen And Justified
  7. Saving Grace
  8. Unspoken
  9. 30 Days In The Hole
  10. Righteous Days
  11. Far Away
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