9.0
- Band: THE DILLINGER ESCAPE PLAN
- Durata: 00:37:27
- Disponibile dal: 28/09/1999
- Etichetta:
- Relapse Records
- Distributore: Self
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In ambito metal, solitamente, siamo abituati a distinguere un album in base alla sua personalità, al coinvolgimento, alla tecnica o, nel caso di un disco storico, alla sua influenza negli anni a venire. Il debutto dei The Dillinger Escape Plan ha tutti quanti questi attributi, presentandosi fin da subito come un lavoro fresco, ricco di idee e destinato a diventare uno dei caposaldi della corrente mathcore o, più in generale, di tutta la scena metal odierna, affiancandosi ad altri due colossi nati in quegli stessi anni: “Jane Doe” dei Converge e “We Are The Romans” dei Botch. Il mosaico industriale di “Calculating Infinity” è stata la base indiscussa sulla quale la band ha eretto la propria leadership in questo ambito musicale, iniziando a delineare le linee guida per il sound più melodico negli anni a venire, spesso ingenuamente preferito ed elogiato da una buona fetta di fan, ignari di quanto questo lavoro abbia dato in termini di bagaglio culturale. Sostanzialmente, il disco è stato composto da una formazione completamente diversa rispetto a quella attualmente conosciuta: tranne il leader e principale compositore Ben Weinman, infatti, troviamo Dimitri Minakakis alla voce – ben più aggressivo e adatto ad un contesto del genere rispetto al subentrato Greg Puciato – Brian Benoit alla chitarra e Chris Pennie alla batteria, due musicisti forti di un bagaglio tecnico mostruoso. Basta un primo ascolto per accorgersi che questa band non è come tutte le altre: partendo da una base hardcore e dando alle chitarre un’impostazione tipicamente jazz – fortemente influenzate da Death e Cynic – la formula del quartetto del New Jersey va ad abbracciare clamorosamente contaminazioni che spaziano dai generi più disparati. Industrial, grindcore, progressive: i background di questi musicisti vanno ad amalgamarsi nella maniera più diabolica e caotica possibile l’uno con l’altro, esaltandosi a vicenda e annullando completamente il rischio di andare incontro a forzature o svalorizzazioni reciproche, dando alle undici tracce qui presenti quel mordente che mostra una formazione dall’apertura mentale non indifferente e un’invidiabile preparazione teorica-esecutiva alle spalle. Inoltre, la band, legando le proprie composizioni a quella tradizione tipicamente indipendente di nomi storici quali Black Flag e Minor Threat, dimostra di sapere a memoria l’ABC dell’hardcore, risultando quindi coinvolgente e d’impatto – per orecchie comunque già abituate – nonostante la complessità della proposta. “Calculating Infinity” è un perfetto ponte di collegamento tra l’old school e le innovazioni: una miscela altamente infiammabile, micidiale e, soprattutto, letale se non si è preparati mentalmente a questo tipo di bombardamento ultrasonoro. L’ascoltatore viene messo alla prova con scariche di hardcore adrenalinico che, al tempo stesso, hanno il coraggio di evolversi e di muoversi alla velocità della luce su un baratro di follia mentale assoluta. Il disco, in mezzora di tempo, riesce ad accartocciarci la mente e a prendercela letteralmente a calci, con le sue infinite e complesse metriche, i frequenti cambi di ritmo, le debordanti ritmiche di difficili esecuzione e, infine, con una fantasia d’operazione degna dei più spietati serial killer. Un disco che, nonostante gli innumerevoli fulmini a ciel sereno e l’annessa velocità supersonica, risulta piuttosto impegnativo e arduo da assimilare, ma che i Nostri interpretano in maniera estremamente divertente e non senza lo spirito ironico che li caratterizzerà nel corso degli anni a venire, dando libero sfogo alla propria vena compositiva e curando alla perfezione le strutture delle tracce. Da citare l’oramai storica “43% Burnt” – che riassume perfettamente il concetto del disco – la coraggiosa e visionaria “The Running Board” (vera e propria bibbia per le sperimentazioni future della band) e la claustrofobica “Weekend Sex Change”. Tutte le tracce sarebbero degne di menzione, tuttavia si rischierebbe di compromettere il significato stesso di questa immensa opera, voluta per destrutturare completamente qualsiasi contesto logico – e quindi la nota forma canzone – e annientare ogni tipo di canonicità musicale conosciuta, preservando tuttavia razionalità e una forte unione d’intenti. Detto questo, grazie alla gia citata ironia e all’atmosfera nonsense che impregnano l’intero ascolto, è sufficiente, se possibile, sgombrare la mente da ogni sorta di schema precostruito e lasciarsi coinvolgere da queste deliranti composizioni per gustarsi al meglio gli incontrollabili istinti sociopatici dei The Dillinger Escape Plan. Prenderli troppo sul serio è un rischio: il confronto più logico è quello delle loro esibizioni dal vivo: sfidiamo chiunque a vederli on stage senza lasciarsi scappare sorrisi, sbracciate, scapocciate e, perchè no, qualche sana pogata; in sostanza, le stesse cose che vanno fatte durante l’ascolto in solitaria nella propria camera da letto. Approcciarsi a “Calculating Infinity” nel modo corretto potrà aprire innumerevoli porte verso mondi fino ad ora associati solo alle più contorte depravazioni mentali. Un’esperienza, quella rappresentata qui, che va vissuta direttamente e brutalmente sulla propria pelle, relegando i successivi lavori melodici ad un discorso assolutamente a se stante.