7.5
- Band: THE DOGMA
- Durata: 00:49:18
- Disponibile dal: 3/12/2010
- Etichetta:
- Drakkar Records
- Distributore: Audioglobe
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Nell’ottica dell’evoluzione si presenta questa nuova fatica discografica degli anconetani The Dogma, già autori di altre tre interessanti uscite racchiuse nell’ambito del genere power metal. Si è introdotta questa recensione parlando di evoluzione perché, nel qui presente “Black Widow”, i cinque musicisti italiani danno una decisa sterzata alla propria musica, introducendo elementi che in precedenza erano assenti, ma mantenendo però quelle caratteristiche che già dal precedente “A Good Day To Die” contribuivano a rendere originale la loro proposta. Quello che possiamo sentire su queste undici tracce è in definitiva un heavy metal a trecentosessanta gradi, senza categorizzazioni, che si libera definitivamente dei legami con il power metal degli esordi e si pone a cavallo di diversi generi; spaziando da un classico hard rock ottantiano fino a suggestioni gothic/dark, sconfinando in alcuni momenti addirittura nel death metal, e stupendo continuamente l’ascoltatore con la propria originalità e fantasia. L’album si apre bene con “Dirty Dark Diane”, canzone scritta con la partecipazione di Lady Awa dei Lordi, che si presenta come un pezzo dal gran tiro, con un bel riff portante impreziosito dalle geniali tastiere di Smeriglio, vero elemento vincente di tutto l’album. L’allegria e clima rockeggiante di questa prima, bella, traccia viene completamente spazzato via dall’avvicendarsi delle successive “Mindfreak” e “Eternal Embrace”; la prima vicina al death metal per via delle growling vocals e dei ritmi elevati mentre la seconda più darkeggiante, con un’intro della solita superlativa tastiera che può riportare alla mente addirittura i Depeche Mode. “Lost Forevermore” mette ancora una volta sugli scudi Smeriglio e il singer Santori, con un altro pezzo ricco di atmosfere dark. Con “Gore Gore Girl” si torna prepotentemente in territori cari al metal più classico, con un riff spezzacollo di chitarra che in alcuni momenti ricorda nientemeno che il break centrale di “Painkiller” dei Judas Priest. Dopo queste continue sorprese arriviamo al momento migliore dell’album: “The Nature And The Icelander”, brano nuovamente ancorato a suggestioni darkeggianti e contenente un duetto tra vocals growl e pulite davvero eccezionale! Il ritorno all’hard rock della successiva “The Bride Is Back” ci rallegra dopo le tinte cupe che l’album aveva assunto e la ascoltiamo volentieri anche se il pezzo manca un po’ della genialità che faceva brillare gli altri pezzi. “Sister Pain” ripesca invece dal lato oscuro del gruppo ma convince meno delle altre, confermando un piccolo momento di flessione dell’album. Per fortuna il buon hard rock di “Fate Of The Leader” aggiusta subito il tiro riportando l’album sugli ottimi standard iniziali. “Black Widow” rappresenta il sunto ideale dello stile variegato che caratterizza i The Dogma attuali e si presenta come un pezzo heavy metal dalle svariate influenze, per un risultato finale ottimo. La ballad “All Alone” chiude perfettamente l’album con un’altra splendida prestazione di Santori ed un vibrante assolo del leader Cosimo Binetti che fa da suggello ad un disco originale, ben fatto e dalle grandi idee; frutto del riuscito tentativo di sperimentare diverse influenze.