7.5
- Band: THE FACELESS
- Durata: 00:31:42
- Disponibile dal: 23/02/2009
- Etichetta:
- Lifeforce Records
- Distributore: Audioglobe
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Se avete assaporato le pubblicazioni death metal a stelle e strisce degli ultimi mesi (tra tutti, i dischi di Decrepit Birth, Deeds Of Flesh e Severed Savior), sapete che piega sta prendendo il genere di questi tempi. Grande tecnica, melodia in buone dosi, riff ispirati ai maestri techno-death di metà anni ’90. Insomma, meno forza bruta e un pizzico in più di raziocinio e introspezione. E così vale pure per i giovani The Faceless, che tornano fra noi con il successore dell’apprezzato debut “Akeldama”, uscito circa due anni e mezzo fa. Maturata un’esperienza invidiabile sui palchi di Stati Uniti e Canada, spesso di supporto a band del calibro di Necrophagist e Nile, i nostri ci offrono in “Planetary Duality” una mezz’ora di ritorno a quel sound con cui è sicuramente cresciuta almeno l’intera ultima generazione di techno-death metaller del pianeta. Se infatti “Prison Born” apre come una canzone dei Decapitated più recenti, successivamente la tracklist dà spazio a una serie di ispirate rielaborazioni in chiave più veloce e moderna del suddetto techno-death anni ’90 dei vari Death e compagnia bella. Pur essendo piuttosto articolate, le canzoni riescono a risultare tutto sommato orecchiabili sin dai primi ascolti, potendo contare su numerosi break ad ampio respiro (che in un paio di casi arrivano quasi a scomodare i Cynic) e su alcuni riff e linee di tastiera di facile presa, più tendenti al cosiddetto symphonic black metal che al death. Ancora una volta, il quintetto è dunque bravo a non esagerare con tecnicismi fini a sè stessi o con strutture iper cervellotiche. Essendo inoltre assai conciso, il platter si lascia ascoltare benissimo dall’inizio alla fine. I The Faceless, insomma, riescono qui a dimostrarsi band matura e ormai dotata di un songwriting ordinato e completo, mettendo in mostra su quasi ogni fronte dei concreti miglioramenti rispetto al già buon “Akeldama”. Unico vero neo del disco è la resa sonora, sì pulita, ma così fredda da far quasi risultare finti gli strumenti. Sotto questo aspetto, un po’ più di “cuore” non avrebbe certo guastato. In ogni caso, un’uscita da non sottovalutare.