6.5
- Band: THE FERRYMEN
- Durata: 00:51:35
- Disponibile dal: 11/10/2019
- Etichetta:
- Frontiers
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Il progetto The Ferrymen è facilmente accostabile a quello Allen/Lande, che risale ormai quasi a quindici anni fa. L’etichetta è la stessa, la Frontiers Records, così come anche la penna dietro alle composizioni, affidata a Magnus Karlsson. Il tutto messo al servizio di grandi voci: non più Russell Allen o Jorn Lande, ma Ronnie Romero, il giovane prodigio portato alla ribalta da Ritchie Blackmore nella sua ultima incarnazione dei Rainbow. Unica differenza, utile ad aumentare l’aura da supergruppo, la presenza di un batterista d’eccezione come Mike Terrana, che completa la line up con il suo stile solido e potente.
Diventa quasi inevitabile, dunque, finire a condividere molte delle considerazioni che avevamo già avuto modo di esprimere all’epoca del debutto di Allen/Lande. “A New Evil” prosegue la strada tracciata dall’album di debutto dei The Ferrymen, spingendo un po’ di più sull’aggressività, ma il nocciolo della questione ruota tutto intorno al songwriting di Karlsson. Il polistrumentista svedese, infatti, si approccia a questo genere di progetto sempre nello stesso modo: in maniera scolastica costruisce dei brani formalmente ineccepibili, suonati bene, prodotti con perizia ma che, da un punto di vista compositivo, risultano eccessivamente piatti e monotoni. Le strutture melodiche, i riff, gli assoli e le orchestrazioni sono il risultato di un metodo già ampiamente scritto e codificato da decine di altre band, applicato da un buon artigiano, che ha conoscenza e familiarità con la materia e si impegna a portare a casa il risultato. Disprezzabile? Tutt’altro, è la descrizione di una giornata tipica per milioni di onestissimi lavoratori. Di fronte ad un prodotto artistico, però, ci piacerebbe poter cogliere un guizzo, maggiore ispirazione, un coinvolgimento emotivo, che purtroppo manca totalmente alla scrittura di Karlsson.
Sul lavoro dei due compagni di squadra, invece, il discorso varia: se da una parte Mike Terrana ci è parso sottotono rispetto alle sue potenzialità, Ronnie Romero sfrutta anche questa occasione per mettere in mostra il suo talento. Il fiuto di Ritchie Blackmore per le grandi voci ha colto nel segno anche questa volta e il cantante, pur appesantito dal materiale non esaltante, è l’unico che riesce a strapparci qualche sussulto di piacere (ad esempio in “Bring Me Home” o in “No Matter How Hard We Fall”). Troppo poco, però, per far emergere un lavoro che, per gran parte della sua (abbondante) durata, veleggia stancamente poco sopra la sufficienza.