5.5
- Band: THE FERRYMEN
- Durata: 00:54:01
- Disponibile dal: 24/01/2025
- Etichetta:
- Frontiers
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Nell’industria cinematografica è abbastanza semplice riuscire a prevedere se un determinato film potrà godere di un sequel: i numeri parlano chiaro. Se gli introiti del botteghino superano di due-tre volte il budget speso, il sequel quasi sicuramente ci sarà. Nell’industria discografica odierna, invece, è diventato quasi impossibile ragionare in termini di vendita, tra piattaforme di streaming, vendite fisiche e via dicendo, tanto da rendere molto più complesso stabilire il successo di un progetto. Chi scrive, ad esempio, non avrebbe mai immaginato che i The Ferrymen potessero raggiungere il notevole traguardo del quarto disco; eppure, eccoci qui oggi a parlare di “Iron Will”, che arriva a tre anni di distanza da “One More River To Cross”.
Giusto per sintetizzare brevemente per chi si fosse perso i primi capitoli, i The Ferrymen sono un progetto nato nella scuderia di Frontiers Records che unisce tre nomi di spessori della scena hard / heavy mondiale: il factotum Magnus Karlsson (chitarra, basso e tastiere), Mike Terrana alla batteria e il nuovo paladino dello stakanovismo, Ronnie Romero, alla voce. Tre nomi che, se ci mettessimo a fare l’elenco delle loro rispettive carriere, ci obbligherebbero a triplicare la lunghezza media di una nostra recensione. I tre avevano debuttato nel 2017 con un album eponimo – anche di buona fattura – e pensavamo che il tutto si sarebbe esaurito di lì a poco, uno dei tanti progetti meteora che Frontiers sa realizzare con indubbio mestiere.
Invece, le cose devono essere andate bene per i tre, perché le uscite del gruppo hanno assunto una cadenza regolare, senza che – purtroppo – ci fossero i presupposti per una carriera a lungo termine.
Se già parlando dei due precedenti lavori ci eravamo trovati a constatare un rapido ed inesorabile declino nell’ispirazione, con “Iron Will” ci troviamo di fronte ad un disco anonimo, tenuto in piedi solo ed esclusivamente dal mestiere di tre musicisti che il minimo sindacabile sanno portarlo a casa anche senza troppo impegno. Se nei due lavori precedenti, però, questo era sufficiente, questa volta c’è proprio poco a cui aggrapparsi. Karlsson e Terrana si limitano a fare il compitino, il primo giocando sul suo tipico repertorio a base di metal melodico, assoli e leggere orchestrazioni, mentre il secondo picchia il giusto, ma senza troppa convinzione, con qualche raro momento di entusiasmo nei passaggi più energici. Chi, invece, ci sembra proprio lanciato sul viale del tramonto è Ronnie Romero, che ormai affronta ogni prova discografica come se fosse un operaio della canzone, cantando tutto sempre nello stesso modo. Chi vi scrive è stato un convinto sostenitore del cantante cileno, fin dai primi giorni della traballante reunion dei Rainbow, ma oggi ci sembra che la sua sovraesposizione stia appiattendo la sua carriera, trasformandolo in un talento sprecato, sulla falsariga di un Ripper Owens o Jørn Lande.
Le nostre, però, sono solo riflessioni e, riagganciandoci alle premesse iniziali, sarà poi il pubblico a decretare il futuro di questo progetto. Se ci sarà un quinto capitolo, capiremo che la scommessa di Frontiers sarà stata vinta. Per quanto ci riguarda, l’impressione che ci resta è che i The Ferrymen abbiano detto tutto ciò che avevano da dire nel loro album di debutto.