6.5
- Band: THE FERRYMEN
- Durata: 00:56:25
- Disponibile dal: 21/01/2022
- Etichetta:
- Frontiers
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I progetti all-star non sempre sono frutto di vera ispirazione, ma è anche vero che spesso riescono ad essere interessanti, stuzzicando la curiosità dell’ascoltatore di fronte ad artisti posti in contesti diversi rispetto a quelli abituali. I The Ferrymen sono una band nata dall’incontro di tre personalità ben distinte: il mastermind Magnus Karlsson, principale autore e polistrumentista, il cantante Ronnie Romero e il batterista Mike Terrana. Con il loro primo album, “The Ferrymen”, questi tre musicisti ci avevano convinto con un metal melodico molto classico ma di buona fattura. Già a partire dal secondo disco, però, la sensazione che abbiamo avuto è stata quella di una rapida ed inarrestabile battuta d’arresto, come se la spinta della novità si fosse già esaurita, lasciando il posto al proverbiale pilota automatico.
Arrivati al terzo album, i tre musicisti non sembrano riuscire ad invertire questa tendenza, confermando tutti i dubbi che avevamo espresso per il precedente capitolo, “A New Evil”. Ancora una volta ci troviamo fra le mani un disco formalmente ineccepibile, ben prodotto, suonato con perizia, cantato da un fuoriclasse e tuttavia piuttosto piatto ed anonimo. Magnus Karlsson è senza dubbio un ottimo artigiano, capace di confezionare canzoni professionali e potenti, ma sembra ormai arenato in una continua ripetizione di se stesso che rende le sue canzoni perfettamente intercambiabili tra loro. Mike Terrana fa il suo, con innegabile potenza, quasi senza versare una goccia di sudore, mentre Ronnie Romero inizia a pagare lo scotto di una certa sovraesposizione, conteso tra mille progetti ed ospitate. A fronte di una formula fondamentalmente immutata, questa volta la band per alzare l’asticella rende tutto più ‘grosso’: chitarre, linee vocali, orchestrazioni, tutto si fa più urlato, più maestoso, più potente, mentre a dare la giusta forma al tutto viene chiamato, per mixaggio e masterizzazione, un professionista come Simone Mularoni. Scavando sotto questi molteplici strati, però, troviamo un album di metal melodico appena discreto, perfettamente in linea con il resto della recente produzione di Karlsson, con tutti i pregi e difetti di un autore che ormai conosciamo bene.
Se a differenza nostra siete tra coloro che hanno apprezzato “A New Evil”, potete tranquillamente buttarvi a testa bassa anche su “One More River To Cross”, che ne rappresenta la naturale estensione; se, invece, avevate l’impressione che la band non avesse più molto da dire, difficilmente questo terzo capitolo sarà in grado di farvi tornare sui vostri passi.