THE GATES OF SLUMBER – The Gates Of Slumber

Pubblicato il 26/11/2024 da
voto
7.5

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Per ben due volte il cantante, chitarrista e fondatore dei The Gates Of Slumber Karl Simon ha dichiarato di non voler continuare senza il bassista storico Jason McCash – la prima volta alla sua uscita dal gruppo nel 2013, che ne sancì lo scioglimento, la seconda al momento della sua morte, l’anno successivo.
Ma l’affetto degli appassionati – e dello stesso Simon – per la sua creatura dev’essere stato  troppo forte per lasciarla andare via così per sempre, e quindi eccoci qua, a scrivere nuovamente di un album di inediti del gruppo di Indianapolis, a seguito della reunion del 2019, dei concerti e dell’album dal vivo del 2020. D’altra parte si sa quanto, in determinati tragici eventi, sia facile perdere il controllo o non essere perfettamente lucidi, rischiando di abbandonarsi a dichiarazioni dettate dall’impulso, ed è quindi assolutamente comprensibile che Karl Simon abbia voluto tornare sui suoi passi.
Rispetto a “The Wretch”, l’ultimo album di inediti del 2011, la musica dei The Gates Of Slumber non è cambiata poi molto, anzi, non è cambiata proprio per nulla: si rileva giusto un suono leggermente più nitido e snello e anche il songwriting sembra più asciutto e conciso, si direbbe perfettamente in linea con l’inesorabile scorrere degli anni e il susseguirsi delle tendenze; l’EP del 2013 “Stormcrow” rimane tutt’ora un episodio isolato, nel quale il gruppo provò, con ottimi risultati, a cimentarsi in sonorità più contigue al doom contemporaneo e allo sludge.
Su quest’ultima fatica invece troviamo ancora vaghe reminiscenze epic doom di inizio carriera – quando i Gates Of Slumber citavano i conterranei Manilla Road e i gruppi più di culto della NWOBHM, quali Angel Witch o Pagan Altar – ma nell’insieme il lavoro rimane sulle coordinate stilistiche del doom statunitense: Pentagram, Saint Vitus, Trouble e Obsessed, e successivi epigoni.
Al posto dello sfortunato McCash troviamo Steve Janiak, capace di sostituire degnamente il suo predecessore grazie a una buona prova di supporto alla chitarra di Karl Simon; oltre a ciò, riesce anche a ritagliarsi ulteriori spazi nel mix: si consideri che le chitarre soliste non sono mai sovraincise alle ritmiche e che quindi è sempre il basso a dover ‘avanzare’, come succede nei live.
Che dire invece del batterista e membro originario Chuck Brown, che completa il trio? “Less is more” è un adagio forse un po’ abusato, ma che contiene una forte dose di verità, in questo caso: certo è che quando la band è composta di soli tre elementi e ci si trovano brani sui sette minuti forse un po’ più di varietà sarebbe gradita, ma, al di là di ciò, la sua prestazione rimane solida e appropriata.
L’album si inaugura nel modo giusto con “Embrace The Life”, che sembra uscita direttamente da “Master Of Reality”, bissata subito degnamente dalla successiva “We Are Perdition”, vera e propria ‘hit’ doom, costruita su un riff semplice e ipnotico doppiato sui ritornelli dalla voce calda e avvolgente di Karl Simon. Sempre apprezzabili anche le ormai classiche citazioni dei Celtic Frost, questa volta sulla quarta “At Dawn”; e ben riuscite le ultime due lente e evocative “The Fog” e soprattutto “The Plague”, la quale in verità presenta anche delle notevoli accelerazioni che ricordano un po’ gli High On Fire. Il disco è molto stringato, appena trentasei minuti di durata totale (si pensi che il già citato EP del 2013 sfora la mezz’ora) ma per tale motivo non ha cali di sorta e può essere gustato piacevolmente tutto d’un fiato.
Il timbro vocale di Karl Simon potrebbe essere descritto come una via di mezzo tra Ozzy Osborne e Warrel Dane dei Nevermore: la tecnica certo non è la stessa, ma è migliorata lungo gli anni, e Karl riesce a risultare sempre credibile e convincente, grazie alla sicurezza e all’espressività che mette nell’adagiarsi sui suoi semplici ma incisivi riff di chitarra. Il bello è che si potrebbe ripetere il medesimo discorso per i suoi assoli: molto semplici, perfino scontati, ma con timing e groove sempre azzeccati, a rendere palese il fatto incontrovertibile che Karl Simon non è di sicuro un musicista innovativo, e forse nemmeno originale, ma ha un ottimo gusto e un valido orecchio, e la sua musica risulta sempre sincera, verace e empatica.
Perciò il ritorno sulle scene dei Gates Of Slumber, in un genere inflazionatissimo ancora oggi come dieci anni fa (loro, d’altronde, ci si dedicano da fine anni Novanta), è da salutare con assoluta stima e gratitudine, perché musicisti con quest’attitudine sono rari come pietre preziose e in futuro ce ne sarà senz’altro assai bisogno.

 

TRACKLIST

  1. Embrace The Lie
  2. We Are Perdition
  3. Full Moon Fever
  4. At Dawn
  5. The Fog
  6. The Plague
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