7.0
- Band: THE HAARP MACHINE
- Durata: 00:33:10
- Disponibile dal: 15/10/2012
- Etichetta:
- Sumerian Records
Spotify:
Apple Music:
I The Haarp Machine nascono nella stanza di Al Mu’min nel 2007. Il giovane chitarrista ha creato il progetto per estrinsecare le sue idee musicali e trasmettere quella che è la sua visione del mondo, avvalendosi della misteriosità del moniker, complesso e arcano marchingegno per ricerche ionosferiche e radiocomunicazioni. Circondandosi, pian piano, di fidati compagni, dopo innumerevoli cambi di line-up la band riesce a dare alla luce quello che è il suo primo prodotto, “Disclosure”, sotto l’ala protettrice della Sumerian Records. Quella che è stata la pazienza, la tenacia e la determinazione del leader Abdullah Mu’min è uno dei principali meriti della precisione di ogni singola nota e di ogni singolo arrangiamento di questo “Disclosure”. Sì, dobbiamo dirlo, questo disco sviscera quella che è la “tipica”, per modo di dire, concezione del progressive moderno, che nasce dalla camera da letto, più che dai palchi, introducendo strumenti tipici del medio Oriente (suona, oltre a chitarre, koto e sitar) e in più quelle che sono liriche sulla condizione socioculturale ed economica del mondo odierno, tema molto caro al fondatore. Certo non si sta parlando di Lévi-Strauss musicato, nemmeno di Foucault, ma di quello che viene considerato tech metal, e se nel campo lirico si riscontra una certa pretenziosità nel campo musicale questa viene invece messa al servizio dei brani, senza mai scadere nell’ipertecnicismo fine a se stesso, trappola mortale per la maggior parte di chi si cimenta in questo genere. “Disclosure” è ricco di parti melodiche di chitarra, ritmiche articolatissime, vocals preziosissime, merito del vocalist Michael Semesky (già nei Vestascension) e della sua modulazione vocale, che si snoda da quelle che sono i più consueti growl e delle bellissime clean vocals. L’architettura ritmica della batteria è precisa ed incisiva, e un basso seminascosto sostiene queste articolazioni, gli strumenti suonati da Mu’min circondano ottimamente le impalcature dei brani. Manca però quello che fa fare il salto di qualità alla band, i cosiddetti “hooks”, nonostante tutti i brani siano importanti nell’economia dei trentatré minuti di “Discosure”, non ce n’è uno in particolare che catturi veramente l’ascoltatore, che gli permetta di tornare indietro e riascoltare più volte quella traccia. Questo è un ottimo debut album e questa band ha grandissime potenzialità. Sicuramente da tenere sott’occhio.