7.0
- Band: THE HALO EFFECT
- Durata: 00:40:43
- Disponibile dal: 12/08/2022
- Etichetta:
- Nuclear Blast
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Una disamina facile, facilissima; no, anzi, difficile, rischiosa. Un disco completamente inutile, prevedibilissimo; no, anzi, ci voleva un po’ di death metal melodico fatto da chi l’ha sempre fatto molto bene. Una band che se non fosse composta da cinque musicisti che hanno fatto la storia del sottogenere passerebbe del tutto inosservata; no, anzi, ecco il supergruppo che ci voleva per risvegliare una scena ormai rattrappita e spogliata delle sue origini.
Eccoci qua, con qualche semplice esempio di concetti e pensieri bipolari affibbiabili al debutto su full-length dei The Halo Effect, la band svedese all-star che include al suo interno una cinquina di elementi più che rassicuranti per lo scopo. “Days Of The Lost”, tale il titolo dell’esordio, è un lavoro talmente fatto bene, talmente formale e per nulla pretenzioso che in automatico attirerà le critiche più disparate, dal fan integerrimo e nostalgico del Goteborg sound che se ne innamorerà senza pensarci due volte, allo stesso fan un attimo più coscienzioso e razionale che lo troverà “carino, però non si dice”; da chi lo riterrà molto più genuino e onesto dei recenti lavori (e rispettive incarnazioni) di In Flames e Dark Tranquillity a chi lo schiferà proprio perchè non aggiunge nulla a quanto sentiamo, da almeno vent’anni a questa parte, dalle due band madri. Risulta impossibile, infatti, evitare il proverbiale accostamento e non ci passa neanche per l’anticamera del cervello di frenarci in tal senso. D’altronde stiamo parlando di Mikael Stanne, vocalist dei Dark Tranquillity – amatissimo (insieme a questi ultimi) in Italia – e che cantò sul primo disco degli In Flames, “Lunar Strain”; Jesper Stromblad, ex chitarrista e principale compositore degli In Flames dal momento zero fino a “A Sense Of Purpose”, icona memorabile, instabile e problematica di tutto il movimento melo-death; Niclas Engelin, mente di Gardenian ed Engel, membro ufficiale degli In Flames da “Siren Charms” fino a “I, The Mask” – ma lo ricordiamo anche molto prima, come chitarrista provvisorio per i tour tra “Whoracle” e “Colony”; e poi la più longeva sezione ritmica passata per casa In Flames, Peter Iwers al basso e Daniel Svensson alla batteria, titolari da “Colony” fino a “Siren Charms” (Daniel) e “Battles” (Peter). Dunque, cosa potevate mai aspettarvi da cinque personaggi così? Qualcosa di sperimentale? Un back-to-the-roots molto indietro nel tempo? Un’aggressione musicale a mano armata? Siamo seri, niente di tutto ciò. “Days Of The Lost” è molto semplicemente un album di death metal melodico che richiama in pieno gli anni 2000 dei due gruppi di riferimento fin qui citati. Per chi ha consumato dischi del calibro dei già citati “Colony”, “Fiction”, “Soundtrack To Your Escape”, “A Sense Of Purpose”, sarà semplicissimo trovare pane per i propri denti e infiniti ricordi tra i solchi di quest’opera. Vero, se pensiamo a qualche lavoro più estremo soprattutto di casa Dark Tranquillity – ci viene in mente ad esempio il notevole “Character” del 2005 – gli agganci e i rimandi sono minori, ma è chiaro che si tratta di gocce in un oceano di riferimenti lapalissiani.
La voce di Stanne – speravamo non usasse il pulito in questa occasione, ma invece in un paio di episodi scatta il ritornello in clean vocals – è paradossalmente ciò che più contribuisce a rendere un po’ piattina la fruizione di “Days Of The Lost”: il growl riconoscibilissimo tra mille e le ormai tutte uguali metriche delle linee vocali fungono da formula-trigger per attivarvi le corrette sinapsi atte a farvi chiedere “ma sono i Dark Tranquillity questi?”. L’uso dell’elettronica, non troppo invadente e non portante ma comunque ben presente, è a metà strada tra gli arrangiamenti di Orjan Ornkloo per gli In Flames post-“Clayman” e il lavoro di Martin Brandstrom nei DT: e quindi ancora, per forza, l’odorino di minestrina riscaldata, a vederla brutta, permane; che poi sia tutto piacevole e indiscutibilmente di buon gusto, questo è un altro discorso. Scritto dell’affiatamento roccioso e lineare della coppia Iwers/Svensson, resta da sperare in qualche spunto straordinario – nel senso di ‘fuori dall’ordinario’ – delle chitarre: Stromblad ed Engelin sono una sicurezza quando si ragiona in termini di death metal melodico, ma anche sotto questo aspetto non si grida al miracolo bensì ad un riffing-revival bello e buono, che ci mette di buonumore e che ci fa godere solo raramente con grande intensità, per rivelarsi infine, dopo magari i primi ascolti un po’ su di giri, un ottimo esercizio di stile e nulla più.
Venendo rapidamente alla tracklist e ai singoli episodi, da troppo tempo e troppi brani anticipati quali singoli video, la disamina è ancora bipolare: ci volete vedere un maestoso greatest hits di inediti assemblati con cura ed esperienza? Molto bene. Ci volete vedere un pressochè inutile rimpasto di idee abusate e stra-abusate anche dai loro stessi creatori? Altrettanto bene. Noi vi segnaliamo gli unici brani che riescono a darci qualcosa in più del semplice fremito nostalgico: “Confidential”, una canzone che, partendo scimmiottando un’intro a caso tratta da “Sounds Of A Playground Fading”, diventa effettivamente una bella mazzata con riffing ossessivo e arrangiamenti alle tastiere che si fanno sentire subdoli; “Shadowminds”, opener e primo estratto reso disponibile al pubblico giudizio, esemplare e rappresentativa nel suo conformarsi senza incertezze al genere d’appartenenza; ed infine la titletrack, con l’inizio preso di peso da “Embody The Invisible” e carica di melodie esaltanti. Non è un caso che tali indicazioni provengano tutte dalla prima metà dell’album: giunti alla quinta traccia, “In Broken Trust”, dotata di uno dei due ritornelli puliti di cui sopra, ci si adagia lentamente sulla sedia, consci che il pilota automatico compositivo non verrà staccato fino alla fine.
Dunque ci fermiamo qui, dando colpi al cerchio e colpi alla botte, un po’ di bastone e un po’ di carota. “Days Of The Lost” non è un album di death melodico old-school, ma un lavoro di melo-death classico, quello che ha mietuto più successi nel corso della sua esistenza. Vi basta? Durerà nel vostro stereo? Ai posteri l’ardua sentenza. Certo che peggio degli ultimi dischi di In Flames e Dark Tranquillity non è.