8.0
- Band: THE HALO EFFECT
- Durata: 00:44:14
- Disponibile dal: 10/01/2025
- Etichetta:
- Nuclear Blast
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A distanza di due anni e mezzo dal debutto “Days Of The Lost”, tornano i The Halo Effect, probabilmente una delle cosiddette all-star band più discusse nel panorama metal. Per chi non fosse al corrente, stiamo parlando di una delle formazioni classiche degli In Flames, con Strömblad, Iwers e Svensson, più Niclas Engelin (In Flames – in sostituzione proprio di Strömblad – Gardenian, Passenger, Engel) e Mikael Stanne (Dark Tranquillity).
Ad essere un po’ compendiosi e pure un po’ furbetti, potremmo allungare il brodo di questa recensione elencando tutti i vari cambi, scambi, innesti ed incroci nella vita musicale e reale che rendono i The Halo Effect una sorta di paradigma complementare agli In Flames contemporanei, a loro volta guidati ancora dai soli Anders Fridén e Björn Gelotte. Lasciamo però ai lettori il compito di farlo e concentriamoci sull’album: a noi il debutto era piaciuto principalmente perché, per quanto si potesse urlare al fan-service e al prodotto preconfezionato, a suonare swedish death melodico così in questo momento non sono poi più in tanti, bisogna ammetterlo.
Certo, in giro ci sono certamente delle palesi strizzatine d’occhio al passato, visto che sia l’ultimo In Flames che l’ultimo Dark Tranquillity sono dischi tutt’altro che disprezzabili; c’è anche tutta una schiera di gruppi che vogliono riportare le lancette ai veri albori del genere, come i Majesties o gente che non si arrende mai come i Night In Gales. Eppure, a nostro parere, di dischi-manifesto così sfrontati e furbescamente fuori tempo massimo come “Days Of The Lost” non ne abbiamo sentiti altri. Giustamente, “March Of The Unheard” non si muove di un millimetro da questo tipo di coordinate e ancora una volta Niclas Engelin confeziona una dozzina di pezzi dal notevolissimo appeal commerciale.
Il modello è principalmente uno: gli In Flames da “Whoracle” a “Clayman”, più una spruzzata di Dark Tranquillity nelle melodie della voce di Stanne, per un vero e proprio paradigma del genere, riconoscibile da chiunque abbia almeno una manciata di dischi metal in collezione. A questo punto potremmo fermarci già qui, perché il prodotto è già bello che venduto per gli interessati, che sicuramente non resteranno delusi. Facciamo comunque il nostro lavoro osservando come in questo nuovo capitolo Engelin si tolga qualche sfizio compositivo in più, aumentando la coralità dei ritornelli (“This Curse Of Silence” che sfocia poi in “March Of The Unheard”), e ci infili un po’ di quella elettronica facilona che gli è sempre piaciuta fin dai tempi di Gardenian ed Engel (“Conspire To Deceive”, “Coda”).
Il resto è telefonatissimo: un clone di “Pinball Map” (“Detonate”), chitarre acustiche (“Our Channel To The Darkness”, “Cruel Perception”), tuffi ancora un po’ più indietro nel tempo (“Forever Astray”) e una voglia di sinfonicità qua e là che esplode sia in “Between Directions” che nella conclusiva “Coda”, messa lì come se Engelin volesse cristallizzare ancora di più un genere ormai consegnato alla storia.
“March Of The Unheard”, in sostanza, è fuori tempo massimo, magari è spiritualmente preparato a tavolino, ma resta formalmente bellissimo. Noi abbiamo chiuso gli occhi e che anno fosse, per quarantacinque minuti, non ha davvero avuto importanza. Forse la soluzione è davvero tutta qua, per godersi i The Halo Effect e non razionalizzare troppo.