6.5
- Band: THE HAUNTED
- Durata: 00:40:25
- Disponibile dal: 30/05/2025
- Etichetta:
- Century Media Records
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Otto anni di silenzio discografico possono sembrare un’eternità, ma nel caso dei The Haunted è come se il tempo si fosse liquefatto in un’assenza che non ha lasciato troppi rimpianti né domande sospese. Il loro ritorno con “Songs of Last Resort”, decimo capitolo in studio, arriva dunque senza grandi clamori, come un rintocco lontano che risuona solo nei cuori dei nostalgici più incalliti. Del resto, come è ormai noto, il cammino intrapreso dagli svedesi dopo i fasti degli esordi – quelli sì, davvero esaltanti – si è via via ingarbugliato in una traiettoria sempre più interlocutoria, in cui guizzi d’inventiva si sono alternati a prove di maniera, senza mai ridefinire davvero il peso della band all’interno della scena.
Il nuovo album si inserisce perfettamente in questa parabola, mostrandosi come una raccolta onesta – ma purtroppo ispirata solo a tratti – di brani che ricalcano, senza troppe variazioni, le orme già tracciate dagli ultimi “Exit Wounds” e “Strength in Numbers”. L’impianto sonoro è dunque quello consueto: un thrash-death metal dalle tinte robuste, spesso reso ulteriormente vigoroso dalla solita verace prova al microfono di Marco Aro, tirato a lucido da una produzione impeccabile e interpretato con la consueta perizia tecnica.
Ascoltando il disco, si respira questa volta un pizzico di brio in più rispetto alle uscite più recenti, anche se all’altezza di qualche episodio, dietro la forma curata, si avverte nuovamente l’assenza di quella fiamma creativa o di quella strabordante ignoranza che un tempo ardeva nei solchi della band, oggi ridotta a brace tiepida.
Tra i momenti più efficaci si segnalano “Warhead”, che evoca in certi momenti anche le tensioni bellicose dei Grip Inc., e “Death to the Crown”, un anthem ruvido e spavaldo che sprigiona una sana dose di ignoranza controllata. Più avanti, “Unbound” sorprende per il suo incipit d-beat e per la carica hardcore che si intreccia a momenti più melodici: un tentativo, riuscito, di scuotere le fondamenta del recente repertorio del quintetto. A tratti, insomma, si intravede ancora la vitalità di una formazione che, quando vuole, sa ancora colpire con precisione chirurgica.
Meno riusciti, invece, gli episodi in midtempo come “Labyrinth of Lies” o “Letters of Last Resort”, che sembrano inseguire invano l’equilibrio tra nerbo e orecchiabilità che aveva reso affascinanti certe soluzioni dei primi Duemila. Qui i The Haunted tentano di ritrovare un’armonia perduta, ma i riff mancano di mordente e le melodie scivolano via senza lasciare grandi segni del loro passaggio.
Comunque, come accennato, rispetto agli ultimi lavori, “Songs of Last Resort” mostra una maggiore compattezza e qualche guizzo in più. Un lavoro che, senza rivolgersi a nuovi ascoltatori, parla con sincerità ai suoi fedeli, offrendo loro qualche brano da ricordare, assieme appunto a delle parentesi più grigie.
Nel complesso, al di là di uno sviluppo un filo più vivace, siamo dunque davanti un album che non cambia troppo la condizione attuale dei The Haunted, che resta quella di una band veterana, certo competente, ma che a volte dà l’idea di essere un po’ disillusa; una band che continua a presidiare un territorio musicale ormai pressoché abbandonato da tutti, resistendo quasi più per orgoglio che per convinzione. In un presente dove, in seguito agli exploit di un gruppo come i Power Trip, le nuove leve dell’hardcore o del crossover sembrano maneggiare il linguaggio thrash con ben altra verve e attitudine, questo ritorno in certi momenti appare come una nota a margine più che una nuova pagina da scrivere.
Non un disastro, appunto, ma nemmeno un definitivo rilancio. “Songs of Last Resort” è, in fin dei conti, ciò che il titolo lascia intuire: un ultimo rifugio, forse, per chi ancora non ha smesso di credere.