7.0
- Band: THE HEADLESS GHOST
- Durata: 00:45:10
- Disponibile dal: 29/03/2024
- Etichetta:
- Punishment 18 Records
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In un momento di revival di determinate sonorità ‘classiche’, specialmente riguardo alla scena heavy, non stupisce che inizino anche nel vecchio continente a spuntare band che tributano giustamente i grandi maestri del genere, come è il caso dei nostrani The Headless Ghost, al debutto con “King Of Pain”, un lugubre concept su un serial killer tormentato dalle anime delle sue vittime.
Avrete probabilmente già intuito dove si va a parare: l’album è un omaggio alle sonorità di Mercyful Fate e di King Diamond, per passare comunque attraverso un bel pezzo di heavy/power carico a pallettoni di matrice Anni Novanta. I The Headless Ghost trovano la loro base sulle chitarre di Aurelio Parise, già nei Lionsoul, e di Alberto Biffi, con attorno una serie di musicisti professionisti come Ste Vallino alla voce, Omar Cappetti alla batteria e Simone Presenti Gritti al basso.
Ciò che stupisce in positivo, appena premuto il tasto ‘play’, è sicuramente la produzione a cura di Mattia Stancioiu, in grado di far risaltare l’heavy assassino del quintetto come un disco moderno dovrebbe giustamente suonare: sin dalla title-track saltano all’orecchio la cura degli arrangiamenti e il gusto per la melodia che contraddistinguono il songwriting del lavoro.
La traccia più interessante del lotto è sicuramente “Inside The Walls”, che con il suo ritornello corale e il suo riff quasi più spostato verso l’heavy/power teutonico suona fresca e ben pensata. Anche se ogni tanto sembra la figura di riferimento del Re Diamante diventi meno nitida, come nella più heavy e meno lugubre “Let Them Go”, i The Headless Ghost riescono comunque a creare delle buone canzoni che, partendo dal doppio pedale e dall’intreccio fra le chitarre – anche nella cadenzata “Angel In Flames” o nella più tirata “Hellhouse” – coinvolgono piacevolmente l’ascoltatore. La voce di Vallino, pur non essendo acuta e agghiacciante come quella delle band di riferimento, riesce comunque a conferire al tutto un’aura di sacralità, seppur considerando che spesso e volentieri la bussola della cupezza e del concept horrorifico si perde in favore di un heavy di stampo più ‘anni Novanta’. Questa cosa è proprio il punto interrogativo che sorge ogni tanto fra una traccia e l’altra: la band sembra perennemente indecisa se spingere più sul doppio pedale in alcuni punti o se lasciarsi andare all’abbraccio tetro e cupo della cadenza quasi doom che caratterizzava alcuni degli album più iconici delle band di riferimento.
La storia del killer si chiude con “Liberation”, che con il suo incedere superclassico ci riporta appieno sui territori dell’horror, impreziosito da un buon tappeto di tastiere ad organo. Il debutto dei The Headless Ghost si dimostra, dunque, un disco solido, ben prodotto e ben suonato, seppur spesso si perda l’ispirazione primaria per correre di più sul binario dell’heavy-quasi-power. Nonostante ciò, sicuramente un disco del genere farà la gioia per i fan dell’heavy più classico.