THE HELLACOPTERS – Supershitty To The Max!

Pubblicato il 11/02/2021 da
voto
8.5
  • Band: THE HELLACOPTERS
  • Durata: 00:57:11
  • Disponibile dal: 01/06/1996
  • Etichetta:
  • White Jazz Records

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Col senno di poi verrebbe da dire che le arie death&roll di “Wolverine Blues” potevano essere segnale di una certa inquietudine rockettara che si stava facendo largo nel (non solamente lui) batterista degli Entombed; tra i padrini del death metal europeo e comunque figura fondamentale e tra le più centrali dell’intera scena estrema scandinava, Nicke Andersson difatti mette mano alla chitarra e al microfono per fondare i The Hellacopters quando ancora sedeva dietro dietro le pelli degli autori di “Left Hand Path”. Formatasi, nelle intenzioni, come side project votato al rock&roll ad opera di Andersson e Dregen (all’epoca in pausa dai Backyard Babies, dei quali era chitarrista, e dai quali tornerà a tempo pieno dopo “Payin’ The Dues”), la band divenne poi la mansione principale dei due, ai quali si erano intanto aggregati Kenny Håkansson  al basso e il già roadie degli Entombed Robert Eriksson alla batteria. Dopo un paio di  singoli e una sessione in studio di ventisei ore scarse, vide la luce in un lampo e praticamente dal vivo, nel 1996, quello che sarà il debutto dei The Hellacopters!
Ciò che ne venne fuori è una cruda rasoiata di garage rock, punk e hard rock, che attinge a piene mani dal suono di MC5, Motörhead e Ramones, non senza l’ombra dei Kiss a fare da sfondo – nome tra i più importanti nella formazione di quasi tutti gli esponenti del metal estremo scandinavo -, palpitazioni metalliche insite soprattutto in questo primo lavoro e nel successivo “Payin’ The Dues”, e i mai troppo citati Hanoi Rocks, che influenzeranno in particolare il percorso dei Nostri dal terzo disco in poi. Sporco quanto basta, “Supershitty To The Max!” è una pietra grezza che trasuda passione stradaiola, che spreme, fino a vederne il succo, ogni esigenza espressiva dei quattro tramite esplosioni di chitarre (ben bilanciate dai due axe-men, che per tutto il disco saranno autori di prove eccellenti, tra riff e assoli affilatissimi) e una sezione ritmica palpitante e inarrestabile, senza dimenticare il fondamentale e riconoscibile apporto del piano di Anders ‘Boba Fett’ Lindström, già nei Diamond Dogs, fondamentale dettaglio dell’Hellacopters sound.
Tredici brani, tredici manate in faccia: dalla opener “(Gotta Get Some Action) NOW!” passando per la lemmyana “24h Hell”, tra inni punk alla “Bore Me” o la cadenzata e quasi bluesy “TAB”, il disco è una giostra di giri di chitarra, vocals distorte, cuori borchiati da punk anni ’70 ma con dettagli ben curati, accelerazioni e spacconate rockettare, in un mix che arriverà a fruttare, ai quattro, anche la vittoria di un Grammy svedese. Sarebbe inutile sviscerare il disco traccia per traccia: vi consigliamo invece di procurarvelo e ascoltarlo per intero, vista l’energica compattezza nella quale sono racchiuse queste piccole tredici fucilate, che assieme formano un cubo di energia raramente riproducibile. È nel futuro che i The Hellacopters si apriranno a quello che è il loro sound divenuto classico – con lavori più ragionati e meno esasperati, più improntati ad un canonico hard rock, come “High Visibility” o il forse un po’ sottovalutato “By The Grace Of God” – ma è qui che si respira la scintilla di follia e genialità, lo scatto, la miccia innescatasi con uno scatto improvviso e micidiale. Una delle lezioni principali del garage rock revival europeo e tra gli apripista di tutta una scena scandinava che ha generato centinaia di ottimi proseliti, per un album che anche il metallaro più incallito non può fare a meno di apprezzare.

“Hell… Hell’s exactly what they raised!”

TRACKLIST

  1. (Gotta Get Some Action) NOW!
  2. 24h Hell
  3. Fire, Fire, Fire
  4. Born Broke
  5. Bore Me
  6. Tab –
  7. How Could I Care
  8. Didn't Stop Us
  9. Random Riot
  10. Fake Baby
  11. Ain't No Time
  12. Such a Blast
  13. Spock in My Rocket
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