7.5
- Band: THE INFINITY RING
- Durata: 00:42:36
- Disponibile dal: 21/03/2025
- Etichetta:
- Profound Lore
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Esiste un legame che lega indissolubilmente gli appassionati di musica metal alla malinconia struggente di certo cantautorato, del neofolk e delle litanie blues mormorate dal Nick Cave più maturo (o senile, a seconda delle opinioni). Alla luce di queste affinità elettive, quindi, non deve stupire l’interesse dei metallari per i The Infinity Ring, un combo da camera (voce, chitarra, tastiere, percussioni e violino) proveniente da un New England ricco di suggestioni lovecraftiane e autore dell’EP “Ohr” (condiviso con Jarboe) e di “Nemesis & Nativity”.
Mentre l’album di debutto procedeva con un passo lento, ondeggiando tra Michael Gira (“Crown Of Stars”, “Lazarus Millenium Sun”) e l’occult rock (“The Valley”), il qui presente “Ataraxia” (ancora pubblicato dalla lungimirante Profound Lore) abbandona quasi del tutto l’elettricità che saturava le tracce del primo album creando un’atmosfera catatonica: al contrario, il nuovo lavoro asseconda pienamente le influenze gotiche della band, che emergono chiaramente fin dall’inizio di “Obsidian” (un pezzo che meriterebbe spazio nel repertorio solista di Steve Von Till) e nella successiva “Nightgale”, il cui sussurro ricorda gli Swans più esangui di “Leaving Meaning”.
Già al primo ascolto, è evidente come in “Ataraxia”, complice probabilmente la sintonia raggiunta durante i concerti dal vivo, la composizione dei brani sia diventata più raffinata, con melodie che riescono finalmente a emergere con forza, sfidando lo spleen che avvolge le tracce.
Anche quando le chitarre elettriche dominano – comunque raramente – nella tracklist, la sensazione che si prova è quella di una malinconia maestosa, come se Matt Berninger dei The National si lasciasse accompagnare nelle sue elucubrazioni dai Bad Seeds di “Let Love In” (come nel primo singolo “Elysium”).
In questo frangente, Cameron Moretti si conferma un frontman carismatico, capace di emozionare senza mai abbandonare il registro roco e avvolgente che lo contraddistingue, come si percepisce nella tesissima “Hymn”.
La band, dal canto suo, dimostra una notevole capacità di muoversi lungo un sentiero che unisce Death in June (“Revenge”, “The Drum”) e Current 93 (“The Window”) al folk emozionale di Leonard Cohen (come negli incisi strumentali che accompagnano il sussurro della conclusiva “The Archway”, nell’opinione di chi scrive uno dei momenti più riusciti dell’opera).
Forti di una scrittura ormai consapevole delle proprie potenzialità, con il loro secondo album i The Infinity Ring si muovono quindi in una ‘direzione ostinata e contraria’ alla primavera ormai prossima, invitando l’ascoltatore a rincasare, prendendo in considerazione l’idea di un lungo letargo, in attesa che il buio ritorni.