6.0
- Band: THE MAN-EATING TREE
- Durata: 00:50:19
- Disponibile dal: 28/09/2010
- Etichetta:
- Century Media Records
- Distributore: EMI
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Sorta di supergruppo della scena metal nordica (anche se le intenzioni dei cinque musicisti sono quelle di creare una band vera e continuativa), i Man-Eating Tree raccolgono l’eredità e i componenti di alcune delle migliori realtà di presente e recente passato del gothic metal. Sentenced, Poisonblack, Fall Of The Leafe (ormai sciolti), Reflexion e Embraze sono le origini, anche musicali, della proposta dei nostri, che con “Vine” giungono rapidamente al full di esordio dopo il singolo promozionale “Out Of The Wind”. Della partita doveva far parte anche il compianto Miika Tenkula, ma il destino sappiamo quano possa essere avverso, e la band ha deciso di proseguire comunque nella propria direzione, sviluppando un collettivo di canzoni costruite sulle vocals di Tuomas Tuominen, anima e traghettatore di ogni singolo pezzo ma anche, diremmo, “pietra dello scandalo”. Navigando dalle parti degli HIM prima maniera, dei Sentenced e dei To/Die/For (sentire la già citata “Out Of The Wind”), si raggiungono le terre di un metal emozionale e dalle melodie tipicamente Finnish, con la voce di Tuomas che ricorda non poco Brian Molko e che modula le sue tonalità su sentieri emotivi senza mai essere realmente emo. Il problema principale, però, è che alle linee di voce manca quel pizzico di mordente che non guasterebbe pure in un genere come questo, considerato anche che la scelta del gruppo è stata quella di rendere i pezzi mera colonna sonora delle sensazioni che il cantante tenta di trasmettere. Ecco allora che alcuni momenti più depressivi come l’opener “Lathing A New Man”, le rimembranze doom e Swedish death rispettivamente di “Insted Of Sand And Stone” e “Amended”, il quasi pop del singolo “This Longitude Of Sleep” e a maggior ragione la cover di “Nights In White Satin”, sono poco più che fluidi palcoscenici delle acrobazie di Mr. Tuominen, a dire il vero effettuate a pochi centimetri da terra, con l’effetto di non suscitare il sentimento voluto ed anzi in qualche caso di annoiare l’ascoltatore. La band sembra un poco ingabbiata e, malgrado non vi siano pecche o ingenuità (del resto i musicisti sono tutti più che rodati) sono poche le parti veramente da ricordare, come ad esempio i finali di “Of Birth For Passing” e “Tide Shift”, quest’ultima contentente pure echi di Anathema e Long Distance Calling. Sembra di sentire addirittura i Creed su “King Of July”, ma alla girandola di rimandi non fa seguito la potenza di penetrazione sonora alla quale molti complessi del grande nord ci hanno abituati, e alla lunga si rischia l’effetto monotonia. In definitiva un disco non brutto ma neanche speciale, suonato da una band valida ma con il freno a mano tirato: se il genere proposto è nelle vostre corde, l’ascolto è comunque consigliato, vista anche la recente pochezza delle uscite affini, altrimenti passate oltre.