7.5
- Band: THE MODERN AGE SLAVERY
- Durata: 00:38:19
- Disponibile dal: 05/05/2023
- Etichetta:
- Fireflash Records
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Non sono mai stati la classica band da un disco ogni due anni, i The Modern Age Slavery, formazione che da anni contribuisce a rappresentare il metal ‘made in Italy’ nella scena internazionale. A sei anni di distanza da “Stygian”, la band modenese continua ad iniettare nel proprio death metal una bella componente tastieristica, andando ad affinare quella svolta che ha spiazzato qualche storico sostenitore e anticipando di fatto il trend dell’ultima ondata deathcore. Death metal di ultima generazione o ‘blackened deathcore’, quindi? Nonostante il groove onnipresente e qualche buon breakdown piazzato qua e là, l’asticella pende più dalla parte di Fleshgod Apocalypse, Job For A Cowboy e Behemoth, che da quella di qualche nuova sensazione virale: il blast-beat e la doppia cassa massacrante dell’opener “Pro Patria Mori” lo mettono subito in chiaro, così come gran parte dell’aggressivo singolo “KLLD”, che sulla tre quarti vira sul deathcore in maniera più che soddisfacente. “Irradiate All The Earth” mostra invece come la band sappia percorrere territori più industrial/futuristici, adattando anche il contributo delle tastiere, mentre in “The Hip” e “Lilibeth” affiorano per la prima volta e in maniera manifesta le coordinate nu-metal nel DNA del gruppo, glorificate a fine tracklist da una godereccia ed inattesa versione del classico “Blind” dei Korn.
Tra le tracce della raccolta prevale il lato death/groove in formato adrenalinico e dalle velocità sostenute, con in pratica la sola “The Age Of Great Man” come episodio più lento, lungo e a suo modo sperimentale. Tra idee, drumming ossessivo e riff ad alti livelli non ci sono cadute di stile: apprezziamo particolarmente come, nonostante le varie influenze, i brani restino costantemente all’interno di tre incisivi minuti, scelta che giova di molto nell’ascolto continuativo e nel replay. Ciliegina sulla torta, un concept e dei testi densi di significato, che esplorano la prima parte di una trilogia sulla schiavitù auto-imposta non a caso totalmente in linea con il monicker The Modern Age Slavery. “1901 | The First Mother” è l’ennesimo disco vivace e granitico che conferma i TMAS come una realtà di rilievo, che probabilmente non sta raccogliendo tutto ciò che semina.