7.5
- Band: THE NIGHT FLIGHT ORCHESTRA
- Durata: 00:59:13
- Disponibile dal: 31/01/2025
- Etichetta:
- Napalm Records
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I The Night Flight Orchestra sono uno di quei gruppi di cui non sapevamo di avere bisogno, eppure ad ogni uscita ci ricordano, a ritmo di nostaglia e AOR, quanto un po’ di evasione dagli schemi della vita sia necessaria.
Nata più o meno come passatempo e trasformatisi con gli anni in un gruppo strutturato vero e proprio, la formazione svedese arriva in questo 2025 al settimo album sulla lunga distanza: e, ancora una volta, Björn ‘Speed’ Strid (frontman dei Soilwork) e Sharlee D’Angelo (basso anche negli Arch Enemy) ci regalano una carta d’imbarco per un’ottimo viaggio aereo fuori dalla realtà.
Il tema dei voli aerei dalle tinte innegabilmente synthwave, maturato da un’iniziale e meno definita ambientazione vagamente fantascientifica, è non solo il fil rouge che, a livello di concept sui dischi (tra chiamate per l’imbarco e improbabili conversazioni in taxi) e di scenografie/costumi live, dona una struttura personale a quanto proposto dai Nostri, ma anche metafora appunto di un certo desiderio di allontanarsi da un’attualità logorante: che sia la vita da musicista on the road o la routine da ufficio, crediamo che la voglia di scappare e perdersi nel mondo sia qualcosa di facilmente comprensibile a molti.
E allora perchè non farlo, almeno con la mente? Ecco quindi che la band ha costruito, da “Internal Affairs” in poi, passando per i bellissimi “Amber Galactic” e “Sometimes The World Ain’t Enough”, un immaginario musicale dove una nostalgia per un’epoca mitizzata – quegli anni Ottanta più patinati e ruggenti (e ancora, il paragone con le radici della musica synthwave torna spontaneo) – trova corpo e declinazione in un AOR fatto di citazioni mai fini a se stesse (qui, ad esempio, il riff portante di “Runaways” porta il marchio dei Toto ma ha una propria personalità), sapientemente declinato attraverso ritornelli super-acchiapponi o melodie istantaneamente memorizzabili; siamo infatti sicuri che vi ritroverete a canticchiare “Shooting Velvet” e “Like The Beating Of A Heart” già dal primo ascolto, con la prima leggermente autocitazionistica in termini di refrain e struttura.
Una via di mezzo, insomma, tra raffinato escapismo e la gioia genuina di suonare qualcosa di diverso rispetto magari alle band di appartenenza, sicuramente più spostate su scenari estremi; una strada che, passato l’effetto ‘novità’ dei primi album, ora appare solida e dall’impronta immediatamente riconoscibile fin dai primi secondi di “Stratus”.
Questo è possibile grazie anche alla presenza di ottimi musicisti, perfettamente in grado di dare il proprio contributo personale senza per forza sovrastare gli altri: che si tratti delle chitarre della coppia Ehrnborn/Forslund (senza scordare la memoria di David Andersson, parte integrante di TNFO e Soilwork, tragicamente scomparso nel 2022), degli imprescindibili tappeti di tastiere di John Lönnmyr o dei cori, sempre molto centrali, a cura delle voci di Anna Brygård e Åsa Lundman, quanto esce dallo stereo parla di una grande capacità di amalgamare intenti e personalità in nome di un divertissement che sembra, all’ascolto, ancora tale anche per chi lo suona.
Ritroviamo in “Give Us The Moon” un Björn ‘capitano’ dell’immaginario equipaggio di bordo, sempre a proprio agio tanto nel condurre i propri colleghi su mini-hit danzerecce (l’ottima “Miraculous”, tra saltelli e Abba), in cui il marchio di quanto fatto in questi anni è ben visibile, quanto su momenti più accorati o vere e proprie ballatone incalzanti (“Paloma”, la già citata “Runaways”), coadiuvato da una sezione ritmica (ovviamente) altrettanto brillante e sicura lontano da blast-beat o cavalcate inferocite.
I tredici brani che compongono l’album, tutti sotto i sei minuti (tranne la finale) nella migliore logica radiofonica, funzionano tutti, con la title-track e la già citata “Shooting Velvet” a spiccare leggermente sugli altri, però dopo vari ascolti ci rendiamo conto di due cose: arrivare alla fine talvolta risulta quasi difficile, come se i The night Flight Orchestra avessero voluto mettere sul piatto un po’ ‘troppo’, forse perchè quattro anni separano questa uscita dal secondo capitolo di “Aeromantic” (una doppietta che, a posteriori, non ha retto benissimo al passare del tempo rispetto ad altri capitoli della loro discografia) e vista la vulcanicità dei musicisti coinvolti gli stimoli su cui lavorare saranno stati parecchi; dall’altro lato, tutto scivola via con (troppa?) facilità – ancora una volta, il paragone con certa voracità di successi commerciali ‘usa e getta’ da parte dell’industria radiofonica (contemporanea o più d’antan), torna comunque alla mente – non ci sono canzoni che rimangono davvero ‘attaccate’ come potevano essere “West Ruth Ave”, “Stiletto”, “Gemini” o “Paralyzed”.
Un po’ un peccato, proprio in virtù della buona fattura della musica proposta – che comunque siamo curiosi di saggiare dal vivo nell’imminente tour europeo.
Un piacevole disco per passare un’ora tra lustrini spensierati, cocktail di benvenuto, scintillanti orizzonti, occhi sognanti e vagamente nostalgici: prendere o lasciare, a voi la scelta.