8.0
- Band: THE NIGHT FLIGHT ORCHESTRA
- Durata: 00:58:15
- Disponibile dal: 29/06/2018
- Etichetta:
- Nuclear Blast
- Distributore: Warner Bros
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Può un progetto nato come passatempo per le lunghe ore in tourbus produrre album sensazionali? Guardando la carriera dei The Night Flight Orchestra la risposta sembra proprio essere un sonoro “sì”. Torna, a solo un anno di distanza dallo sfavillante “Amber Galactic”, la combo nata da uno strano mash-up tra membri di Soilwork, Arch Enemy, e del gran bell’AOR/hard rock d’epoca. Gli svedesi cavalcano l’ondata di nostalgia verso gli anni Ottanta d’oro senza però risultare ruffiani, reinterpretando gli stilemi di una musica graffiante e coinvolgente con un tocco fresco e trasudante ispirazione da ogni poro.
Avendo letteralmente consumato il precedente album, ci aspettavamo dal nuovo “Sometimes The World Ain’t Enough” grandi cose e non ne siamo rimasti assolutamente delusi: ci sono ritmi groovy, stacchi di tastiera patinatissimi, gli immancabili campionamenti multilingua femminili tra un pezzo e l’altro, cori da stadio (“Moments Of Thunder”) e tanta, tanta energia. Nessun calo di tensione, nessun calo ispirativo nell’oretta scarsa di musica sfornata da un inedito Björn Strid (frontman dei Soilwork) e compagni in versione disco-vintage targata per la seconda volta di fila Nuclear Blast; si parte con il singolo “This Time”, scelto come apripista anche a livello promozionale, la cui andatura squillante è una chiara dichiarazione d’intenti da parte del supergruppo: ambientazioni a metà tra lo sci-fi più becero e l’immaginario in stile “Miami Vice” di qualche decennio fa – occhiali a specchio, costumi di lycra scosciati, Cadillac sui boulevard e camicie geometriche – per una deliziosa parentesi di evasione dalla realtà.
Impossibile rimanere fermi con pezzi come “Turn To Miami” e “Paralized” (se ve lo state chiedendo, il basso funky è incredibilmente opera di un certo Sharlee D’Angelo), due tra i pezzi migliori del disco, in grado di unire un’insindacabile bravura ad azzeccare melodie e tempi incalzanti con una sintonia strumentale realmente percepibile, impossibile trattenersi dal cantare i ritornelloni di “Cant’t Be So Bad” o “Speedwagon” già dal primo ascolto, impossibile non meravigliarsi della versatilità con cui David Andersson (compagno di Strid nei Soilwork) sciorina soli e scale che sembrano usciti da un album dei tempi d’oro di Toto o degli Asia. Se la titletrack si apre con un’intro di tastiera scippato direttamente da “Runaway” dei Bon Jovi e s’inalbera verso soluzioni piacevolmente orecchiabili, non mancano per completare il quadro nè ballad da accendini al cielo (“The Last Of Indipendent Romantics”), nè zuccherose canzoni d’amore come “Lovers In The Rain” nè ipotetiche, sinuose, esche ‘da rimorchio’ in una parodia azzeccatissima di soft-porno nostrano (quando sentirete “Pretty Thing Closing In” capirete perchè). Menzione a parte per “Barcelona”, vera gemma del disco, in grado di racchiudere tutto quello di cui di è parlato fino ad ora in cinque minuti e mezzo al cardiopalma: Björn si diverte a giocare con la voce qui più che altrove attraverso le tonalità più calde ed acute, il comparto ritmico (retto dalla batteria di Jonas Källsbäck) fa da sostegno per i fischianti riff e assoli carichi di grinta della coppia Forslund/Andersson in un’amalgama praticamente perfetta delle molteplici anime dell’hard rock.
Che siate abbonati alle uscite Frontiers o che vi inebriate con i tecnicismi più all’avanguardia, poco importa: siamo sicuri che, una volta premuto il tasto ‘play’ e fatto partire “Sometimes The World Ain’t Enough” avrete trovato quello di cui avevate bisogno per staccare la testa questa estate.