6.5
- Band: THE OBSESSED
- Durata: 00:43:09
- Disponibile dal: 07/04/2017
- Etichetta:
- Relapse Records
- Distributore: Audioglobe
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Il solo Wino, fra i musicisti che ne hanno fatto parte fra anni ’80 e ‘90, è rimasto a portare avanti il glorioso nome dei The Obsessed. La reunion del 2011 nella line-up che registrò lo storico “The Church Within” si è dissolta in fretta, giusto il tempo di qualche (riuscito) concerto sui palchi di Roadburn, Hellfest e Maryland Deathfest. Oggi uno dei massimi maestri di doom ricompare all’orizzonte per “Sacred”,circondato in studio da Brian Costantino (batteria) e Dave Sherman (basso), già con Scott Weinrich negli Spirit Caravan. Sherman, tanto per confermare l’instabilità insita nella storia della formazione, ha lasciato la barca da mesi, sostituito ora da Reid Raley per le prossime tornate live, dopo che era naufragato in fretta un esperimento di line-up a quattro elementi, con altri strumentisti chiamati in causa per pochi mesi. Nelle sue innumerevoli declinazioni, la musica officiata da Wino ha sempre denotato un marchio di fabbrica inconfondibile, dato dalla voce amara e pessimista incastonata in un ronzio chitarristico effettato, antico, che ancora oggi pare eliminare in partenza qualsiasi idea di abbellimento e levigatura. Da “Sacred” non ci si può quindi aspettare nulla che non esuli dal passato del cantante/chitarrista originario del Maryland, la sua chitarra al centro di percorsi dilatati, solitari, intrappolati in una dimensione dove il tempo non scorre e la vita sembra essersi fermata. Non è ben chiaro dove finisca l’hard rock e da quale punto cominci il doom, o viceversa, nella proposta dei The Obsessed, quello che conta è ricondurre l’estro burrascoso del mastermind a un sound vintage, orgogliosamente datato, scarno e venato di contaminazioni blues che prendono campo e forza mentre ci si addentra nel cuore della tracklist. Diversamente da quanto ascoltato nell’ottimo “Lillie: F-65”, posseduto dallo spiritato riffing di Dave Chandler, il gioco condotto da Wino in “Sacred” è nettamente più rilassato, disposto verso un chitarrismo che sacrifica l’oppressione a un fraseggiare affabulatorio, che non nasconde mire cantautorali e un crooning acceso di toni appassiti. Non siamo di fronte a una delle prove più sfavillanti di Wino in veste di songwriter ed esecutore, la propensione a una relativa leggerezza e il poco tiro non depongono a favore di un disco che parte abbastanza bene e s’illanguidisce nel giro di qualche traccia. Convincente è la riedizione, dopo oltre trent’anni (compariva nel primo singolo omonimo del 1983) di “Sodden Jackal”, che assieme alla tirata “Punk Crusher” rappresenta l’ala grintosa e metallica di “Sacred”. La cui titletrack conserva una purezza e rocciosità vicine alla fama guadagnata sul campo da Wino. Già a partire da “Haywire” prende il sopravvento il rock’n’roll settantiano, in un formato piuttosto piatto, avaro di pathos. Non che manchi la competenza e la cura alle canzoni, gli strumentisti coinvolti dimostrano il loro lignaggio anche su partiture molto elementari; tuttavia i pezzi non decollano, vittime anche di una vocalità che questa volta non comunica appieno il pericolo, la morbosità per cui Wino è famoso. Non escono scintille da “Sacred”, ci possono essere giri orecchiabili, qualche strofa o refrain che restano in mente, ma i pezzi vanno infiacchendosi precocemente, come se perdessero in fretta slancio anche quando le idee di base non sarebbero disprezzabili. “Stranger Things” rialza le valutazioni del disco, avvolta da un disincanto rassegnato che entra sottopelle, mentre ciò che le sta attorno, tolto il trio iniziale, paventa amorfismo, un ritrarsi su se stessi che sa di piccola occasione persa. Gli album brutti sono altri, e quando turbini di assoli Seventies erompono dalla sei-corde, l’adrenalina scorre ancora a fiotti: nel complesso, però, “Sacred” arranca.