7.5
- Band: THE OCEAN
- Durata: 00:52:26
- Disponibile dal: 19/05/2023
- Etichetta:
- Pelagic Records
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Quando uscì, nel settembre 2020, il precedente disco dei The Ocean, “Phanerozoic II: Mesozoic | Cenozoic”, si pensava che finalmente fosse giunta al termine la trilogia di lavori dedicati alle ere geologiche: “Precambrian” aveva aperto con il botto l’epopea nel 2007, seguito più di una decade dopo dai due “Phanerozoic”, che hanno definitivamente portato l’ex collettivo berlinese ad un livello ultimo di capacità compositive, interpretative ed ovviamente creative. E difatti tutti ci si chiedeva verso quale argomento, riflessione o spunto d’ispirazione Robin Staps avrebbe diretto la sua creatura nel proseguo di carriera. Ebbene, ecco qua la neanche troppo imprevedibile risposta: una quarta parte, una sorta di epilogo, della (a questo punto rinominata) tetralogia sulle ere geologiche!
Non poteva che intitolarsi “Holocene”, il postulato finale di una tale enorme e lunghissima digressione paleontologica, filosofica, a trecentosessanta gradi, sugli aspetti evolutivi della vita e della morte sul pianeta Terra. “Holocene”, esattamente come l’ultimo brano dell’album precedente, per tracciare un filo rosso d’unione fra i due lavori; Olocene, come la seconda epoca del periodo Quaternario – quella in cui siamo tuttora – maggiormente dominata (ma fino a quando?) dalla presenza dell’uomo, quella che inizia con il termine della Glaciazione Würm e prosegue il suo corso inter-glaciale fino ad oggi, quando infine si parla abbondantemente di riscaldamento globale, di cambiamento climatico e del severo impatto dell’invasività umana sul pianeta. Giusto così, una storia iniziata nel caotico, sconosciuto e incomprensibile eone Adeano (ricordate “Hadean”, il violentissimo mini-CD contenuto in “Precambrian”?) doveva per forza concludersi nel presente, ai giorni nostri, segnando e certificando una progressione stilistica che, ancora una volta appoggiandoci ad una metafora filosofica, segue anch’essa il flusso della vita sulla Terra, che ha attraversato continui momenti di esplosione ed implosione, genesi ed estinzione e poi ancora genesi, in un ripetuto plasma di morte e di rinascita.
“Holocene”, dunque, come sicuramente avrete letto in questi mesi, si orienta verso un massiccio uso dell’elettronica all’interno del songwriting The Ocean, con sugli scudi Peter Voigtmann, il tastierista/visualizer del gruppo, perfetto nell’affiancare Robin Staps nella scrittura di questo nuovo materiale. Ma non solo, perchè comunque sarebbe assolutamente errato scrivere di un lavoro soltanto elettronico: c’è innanzitutto il solito approccio compositivo dei Nostri, aperto, intelligente, di gusto, coraggioso, che non lascia niente al caso e non dà nulla per scontato; ci sono i riffoni tra doom e post metal, ci sono le scariche post-core, le voci femminili, i canti delicati, la sezione ritmica prevalente sul resto, arrangiamenti di piano, ottoni, synth, vibrafono, i cambi di tempo, d’atmosfera, a tratti le reminiscenze di quando la band stazionava tra Meshuggah, Mastodon e Neurosis, in altri tratti lo spettro dei Tool si rifà evidente. C’è insomma tutto l’acume scrittorio di Robin Staps messo al servizio delle idee di Voigtmann e viceversa. Acume e idee poi cucite assieme dalla usuale ed impeccabile prova di Loic Rossetti alla voce, che, nonostante in “Holocene” non sia del tutto protagonista, si mantiene su standard elevati affinchè i suoi vocalizzi su un disco targato The Ocean restino inconfondibili e subito riconoscibili.
La delicatezza di un brano come “Sea Of Reeds”, tranquilla e soffusa ballad elettronica impreziosita da trombe, si scontra con l’ardore ed il groove della superba “Subboreal”, il pezzo preferito di chi scrive, che però parte piano e cresce subdolamente, fino a deflagrare improvviso; mentre tutto il resto si attesta nelle ampie vie di mezzo che aprono scenari a volte tellurici, a volte epici, a volte oscuri e a volte nostalgici: “Boreal” potremmo definirla minimale; l’opener “Preboreal” il classico buon riassuntone di presentazione dei contenuti; la chiosa di “Subatlantic” ha qualcosa di orientaleggiante prima di decollare ancora in ritmiche tooliane, così come anche la similare “Atlantic”; a parte menzioniamo “Unconformities”, canzone sperimentale fra le sperimentali, dotata di voce femminile, un’andatura quasi ballerina e fortemente ritmica, che però nel finale si inalbera violentissima senza alcun motivo alterando (secondo noi in modo negativo) il buon mood ‘diverso’ che si era venuto a creare nei minuti precedenti.
Tirando un po’ le somme della disamina, ci troviamo ad assegnare mezzo voto sotto all’8, in quanto “Holocene” non raggiunge la bellezza ed il fulgore delle due opere precedenti, e non è neppure accostabile al capolavoro “Precambrian”. E’ però un lavoro più che onesto e ben eseguito, pubblicato al posto e al momento giusto, e che sicuramente piacerà a quasi tutti coloro che amano i The Ocean per quello che sono, una formazione libera, matura, saggia e con sempre idee stimolanti e proattive. Non possiamo far altro che applaudire per l’ennesima volta.