8.0
- Band: THE OCEAN
- Durata: 00:53:13
- Disponibile dal: 30/04/2013
- Etichetta:
- Metal Blade Records
- Distributore: Audioglobe
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Dopo aver dato libero sfogo all’ambizioso progetto rappresentato dalla doppietta “Anthropocentric”/”Heliocentric” e dopo le travagliate vicissitudini della salute del frontman Loïc Rossetti, Robin Staps torna a cimentarsi in un album unico e assolutamente compatto, forse il più canonico in assoluto se consideriamo i The Ocean come una band vera e propria solo dopo la pubblicazione di “Precambrian”. Anzi, forse proprio perché ha trovato una quadratura del cerchio ideale che la band si ritrova solo ora alle prese con una riscoperta simbolica delle proprie origini, quell’oceano racchiuso nel moniker mai effettivamente rappresentato e sviluppato, qui vero e proprio concept alla base dell’opera. Il dominio pelagico del titolo, infatti, è profondo e variegato, suddiviso in strati speculari, da un certo punto di vista, alla carriera dei tedeschi, ambiziosa, non scontata e via via sempre più riconosciuta e apprezzata dal grande pubblico. Un ambiente marino che, progredendo, diventa sempre più inospitale e tortuoso, ma che tuttavia risulta subito riconoscibile e forse un tantino ruffiano, là dove la ruffianaggine non è necessariamente un male. Gli strati iniziali, epipelagici e mesopelagici, che vedono ancora la luce del sole, aprono il disco con un’ariosità disarmante, melodie che si riflettono nella liquida e limpida acqua oceanica fino all’ulteriore immersione verso la zona batipelagica. Qui le ritmiche iniziano a farsi più pesanti e l’ossigeno opprimente, tremila metri di sbalzo subacqueo che “Impasses”, “The Wish In Dreams” e “Disequillibrated” (che, onestamente, ricordano parecchio riff-chiave di Mastodon e Meshuggah) rappresentano con idee non nuove ma comunque dal grande effetto, aiutate non poco dalla gigantesca prova vocale di Rossetti. Il livello abissopelagico si fa più cupo e isolato, quasi triste nella sconfinata solitudine di “Signals Of Anxiety”, una sorta di canto commovente che farà storcere il naso ai fan della prima ora, ma che tutto sommato nulla toglie alla sopraffina espressività mai nascosta dai Nostri, mentre la variegata “Let Them Believe” riesce a coniugare profondamente deliziose linee vocali con archi, pianoforte e un crescendo di rocciose chitarre forti come le stesse fosse oceaniche. Dopo questo grande episodio spazio invece a una doppietta più ruvida, nella quale la sezione strumentale relega principalmente la voce di Rossetti in secondo piano, quasi voglia metterla a riposo dal grande lavoro svolto sul resto della tracklist, che, ammettiamolo, non avrebbe assunto lo stesso spessore senza il suo preziosissimo contributo. E’ così che sull’incedere sludge di “Benthic: The Origin Of Our Wishes” si chiude un disco ottimamente studiato e interpretato, premiato da una produzione eccelsa che ne risalta anche i più microscopici fitoplancton musicali. Con “Pelagial”, i The Ocean si sono confrontati con loro stessi, con il proprio nome, riuscendo nella sfida di confermare le proprie qualità e di mantenere fede ad un sound tanto elaborato quanto inconfondibile. E se è vero che alcuni passaggi potevano uscire meno ruffiani e derivativi, è anche vero che in pochi, attualmente, sono in grado di coniugarli in maniera così nitida e spontanea con il resto del proprio bagaglio sonoro tanto da infondere una liquidità così perfettamente bilanciata tra le parti.