8.0
- Band: THE OCEAN
- Durata: 00:47:45
- Disponibile dal: 02/11/2018
- Etichetta:
- Metal Blade Records
- Distributore: Audioglobe
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Scriviamolo chiaramente e subito: non c’è un solo passo falso nella carriera dei tedeschi The Ocean ed il nuovo album ne dimostra ancora una volta le incredibili qualità compositive e la quasi unica capacità di approfondire temi profondi e ampissimi facendo uso ‘solo’ delle possibilità che la pubblicazione di dischi mette a disposizione. In passato, valutandoli oggi con il senno di poi, forse solo il primissimo strumentale “Fogdiver” ed il seguente “Fluxion” avevano poco da dire, e probabilmente solo il meno convincente “Heliocentric” può rientrare nella definizione di ‘mezzo passo falso’, ma è chiaro come l’ex-collettivo a capo del genialoide chitarrista berlinese Robin Staps sia ormai da anni ai vertici del movimento post- mondiale, grazie alla sua miscela fantasiosa di Isis, Mastodon, Meshuggah e approccio progressivo e audace, unita ad una cura nei dettagli del prodotto e ad una certosina ricerca lirica pari davvero a pochi altri loro commilitoni.
Sono occorsi ben cinque anni a Staps e (nuovi) compari per tornare a farci sentire la loro musica, tale è il tempo trascorso da quel “Pelagial” che tutti aveva ammaliato nel 2013: ancora una volta, escludendo l’ormai fermissimo punto di forza rappresentato dal vocalist svizzero Loic Rossetti, Robin ha cambiato tutti i musicisti al suo fianco, perdendo lungo la strada i vari Luc Hess, Louis Jucker e Jonathan Nido e reclutando al loro posto Paul Seidel alla batteria, Mattias Hagerstrand al basso e David Ahfeldt alla seconda chitarra; in più – la novità principale del 2018 dei The Ocean! – ecco promosso a membro ufficiale, in qualità di sampler/synth/tastierista, Peter Voigtmann, la persona che da anni si occupa dei visual e delle luci live, prerogativa storica di un gruppo altamente atmosferico quale il combo berlinese.
Ma per capire bene questo “Phanerozoic I: Palaeozoic” non basta rifarsi agli ultimi accadimenti di casa The Ocean oppure andare a riprendere in mano “Pelagial”: volendo partire da lì, certo si può fare, ma per prima cosa sarebbe utile rispolverare quell’incredibile doppio capolavoro etichettato con il nome “Precambrian”, ormai edito ben undici anni orsono. Il supereone Precambriano, difatti, circa 542 milioni di anni fa, terminò sfociando nell’eone Fanerozoico, quello in cui tuttora viviamo, che vide l’improvviso e simultaneo determinarsi di tutti i (poi futuri) prodromi di vita animale e vegetale nel suo primo periodo, il Cambriano, grazie a quella che geologi e paleontologi chiamano Esplosione Cambriana. Diviso in tre ere e diversi periodi, il Fanerozoico ha quindi posto le basi ai The Ocean per poter cimentarsi in un altro enorme lavoro concettuale, dedicando alla sua prima era, il Paleozoico, la prima parte dell’intero “Phanerozoic”, che si suppone nel 2020 tratterà le successive ere Mesozoico e Cenozoico (l’era attuale). Oltre a questa full-immersion in tale argomento affascinante – o improbo e caotico, certamente per alcuni – i Nostri ci aggiungono il carico da novanta della lettura filosofica del tutto, sotto l’aura protettiva dell’approccio nietzschiano, per il quale tutto si evolve lungo la storia ripetendosi in modo ripetuto, accadendo ripetutamente in un ripetuto loop infinito, per volte infinite. Passaggio assolutamente associabile alla storia della Terra, composta effettivamente da lunghissimi periodi di florescenza e diffusione di vita alternati a ferree glaciazioni e accadimenti altri causanti devastanti estinzioni di massa.
Ci fermiamo qui – meno male, direte voi! – sull’approfondimento del concept di “Phanerozoic I: Palaeozoic”, ma essendo ogni suo aspetto strettamente connesso ci é sembrato doveroso dare il giusto risalto al vasto background non-musicale che permea questa ed ogni altra uscita dei The Ocean. Traslando a ciò che più sicuramente vi interessa, la musica appunto, possiamo solo prendere nota di come la band riesca a crescere sempre di più ad ogni disco, magari anche scimmiottando qualche entità ben nota – Katatonia e Tool, a questo giro – ma facendolo sempre con la personalità enorme che la contraddistingue e con un savoir-faire del tutto personale, che permette a Staps, Rossetti e compagnia di ergersi impettiti su (quasi) tutto il panorama post- attuale. Novità del 2018 – scrivevamo prima – sono i sintetizzatori e l’elettronica di Peter Voigtmann, in grado di dare nuove chiavi di lettura e nuove possibilità sonore in sede di songwriting e composizione. Basti ascoltare proprio la breve opener strumentale “The Cambrian Explosion”, basantesi esclusivamente su synth ed effettistica, per capire l’impattante new entry in seno alla formazione. Oddio, non che adesso i The Ocean abbiano ovunque parti elettroniche e non che non le abbiano mai utilizzate in precedenza, ma l’inserimento di tali sonorità ora si può definire veramente importante e non secondario; e chiaramente, trattandosi di abili scrittori, il collocamento e la qualità di questi arrangiamenti sono sempre ben dosati, ponderati e al punto giusto, in quanto spesso si odono pianoforti e ricercati passaggi soffusi, mai tamarrate à la In Flames, tanto per fare un esempio.
Ciò lo si percepisce anche nella stupenda e seguente “Cambrian II: Eternal Recurrence”, il brano migliore del disco, nel quale tutto suona perfetto e Loic Rossetti, progredendo magistralmente assieme alla band, si ritaglia ruoli sempre più da protagonista, cesellando linee vocali e prestazioni da applausi, che a tratti personalmente ci hanno ricordato con orgoglio anche i nostrani Sunpocrisy. Più breve ma efficacissima è “Ordovicium: The Glaciation Of Gondwana”, una canzone diretta e più classica nel repertorio del gruppo, ma resa ottima ed esaltante dalle ennesime trovate vocali di Rossetti e dai contrappunti melodici delle chitarre. Poi, se non si considera la seconda strumentale del lavoro, la strutturata e dinamica “The Carboniferous Rainforest Collapse”, dove la sezione ritmica si diverte a sbizzarrirsi in un fluido inseguimento di fill e operazioni ardite, si entra nel ‘grosso’ della tracklist con le tre restanti composizioni dal più ampio respiro: peccato per l’ospitata di Jonas Renkse (Katatonia, Bloodbath) alla voce in “Devonian: Nascent”, in quanto proprio questo lungo crescendo atmosferico ed emozionale non dice molto di avvincente, pur restando un buonissimo esercizio compositivo; molto meglio il primo ‘singolo’ messo a disposizione sulle piattaforme digitali, ovvero “Permian: The Great Dying”, epico episodio che porta in modo apocalittico al termine del disco, coincidente con l’evento naturale che determinò la fine dell’era Paleozoica e del periodo Permiano, ovvero l’estinzione di massa del Permiano-Triassico, causante la morte del 95% delle specie animali e vegetali fin lì evolutesi, 250 milioni di anni fa; a parte giudichiamo invece “Silurian: Age Of Sea Scorpions”, sicuramente uno dei brani più ambiziosi mai concepiti da Robin Staps, un post-metal progressivo che partendo da chiare influenze e ritmiche tooliane va poi ad incorporare orchestrazioni, archi, complessi passaggi di piano e continui ondeggiamenti di mood, per una canzone che, sebbene non vi farà spellare subito le mani, troverete sempre più memorabile con il passare degli ascolti.
Insomma, tirando le conclusioni, restando già ora in attesa della seconda parte e troncando brutalmente il flusso di parole, i The Ocean si confermano una sicurezza assoluta, sotto tutti i punti di vista. Altro giro, altro grande disco.