7.5
- Band: THE OFFSPRING
- Durata: 00:32:20
- Disponibile dal: 16/04/2021
- Etichetta:
- Concord Records
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Nove anni di attesa/otto pezzi inediti = 1,1. Con un po’ di cinismo, potremmo dire che ci sono voluti più di tredici mesi per ogni canzone nuova, ponendo Dexter Holland e soci sulla scia di quel “Chinese Democracy” che loro stessi volevano sfottere ai tempi di “Splinter”. Fortunatamente però la musica non si misura con il bilancino, e nonostante fosse forse lecito aspettarsi qualcosa di più, possiamo dire che la lunga attesa è stata ripagata con il classico disco ‘breve ma intenso’, come da tradizione del genere.
Per spazzare via la polvere bastano i due minuti e mezzo di “This Is Not Utopia”, sferzante a livello ritmico e lirico in modo non dissimile al sottovalutato (almeno nella prima metà) “Rise And Fall, Rage And Grace”, e per nostra fortuna non si tratta di un episodio isolato. Sulla stessa frequenza si muovono infatti anche “The Opioid Diaries” (la più ‘Americana’ del lotto, vista la netta somiglianza con “The End Of The Line”) e soprattutto “Hassan Chop”, brano che chiude idealmente il cerchio con “Tehran” (dall’omonimo esordio del 1989) anche se cronologicamente più vicina a “Da Hui”. Tra gli highlight segnaliamo anche “Army Of One”, sulle cui note è difficile non lanciarsi in un’imitazione di Uma Thurman e John Travolta in “Pulp Fiction”, e l’altrettanto ritmata “Breaking The Bones”, reminiscente del periodo “Ixnay On The Hombre” pur mantenendo una sua identità, così come non dispiace “Behind Walls Of Pain”, con l’inconfondibile timbrica di Dexter in primo piano e un buon lavoro del batterista Pete Parada (qui al suo primo full-length, dato che sui precedenti aveva suonato prevalentemente Josh Freese). Abbiamo temuto volutamente per ultima la categoria delle ‘joke songs’, ovvero quei pezzi un po’ scemi nati sull’onda del successo di “Pretty Fly” e “Why Don’t You Get A Job” ma che in passato hanno partorito una sequela di copie mal riuscite (“Original Prankster”, “Hit That”, “The Worst Hangover Ever”, “OC Guns”, e via discorrendo), per tacere delle ballad simil-Green Day immancabili da un paio di album a questa parte. Bene, stavolta per nostra somma gioia delle seconde non c’è traccia, mentre per le prime poteva andare decisamente peggio: la titletrack risulta forse un po’ fuori tempo a livello lirico (si sente che il testo era pensato ancora in ottica Trump) ma comunque diverte più di tutti i brani citati poc’anzi, così come il simil-jazz di “We Never Have Sex Anymore”, proprio perché lontano da quanto sentito finora, svolge il suo ruolo di separatore alla stregua di una “Intermission” cantata. Parlando di strumentali il breve intermezzo “In The Hall Of The Mountain King” è altresì divertente, così come anche il reprise della titletrack sulla conclusiva “Lullaby” risulta piacevole e va in continuità con la versione piano e voce di “Gone Away”, che non avrà l’intensità dell’originale ma risulta molto più funzionale del reboot di “Dirty Magic”, oltre ad essere già rodata in sede live da qualche anno. Abbiamo lasciato per ultima “We Are Coming For You” non solo perché già nota (essendo uscita come singolo nel 2015) ma anche perché nulla aggiunge al resto, ricalcando lo stile dei ‘nuovi’ Offspring senza infamia e senza lode.
Tornando alla considerazione iniziale, possiamo dire che la scelta di una tracklist compatta e variegata paga, infilando una mezz’ora che ci riporta indietro di vent’anni senza suonare anacronistici: sperando di non dover aspettare il 2030 per nuova musica (e che il dott. Holland non si sia dato alla carriera accademica dopo il Ph.D in biologia molecolare), bentornati Dexter e Noodless!