10.0
- Band: THE OFFSPRING
- Durata: 00:46:47
- Disponibile dal: 08/04/1994
- Etichetta:
- Epitaph
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Nel 1993 Dexter Holland, Noodless, Greg K e Ron Welty sono quattro amici uniti dalla passione per il punk che, dopo una gavetta e un disco autoprodotto nella seconda metà degli anni ’80, sembra aver finalmente raggiunto il successo auspicabile per una band punk: il loro secondo disco, “Ignition”, è stato pubblicato l’anno prima dalla Epitaph di Brett Gurewitz (chitarrista dei Bad Religion) e ha permesso loro di esibirsi negli U.S.A. con i Pennywise e in Europa con i NOFX, in un tour de force di tre settimane con duecento/trecento spettatori a sera. All’epoca infatti tutti i membri della band erano impegnati tra studio e lavoro (Dexter faceva il manovale per l’etichetta, Noodless il bidello, Greg K lavorava in una copisteria e Ron in panetteria) anche se la passione principale era quella per la musica. Tornati in studio nell’autunno del 1993 con lo storico produttore Thom Wilson (già al lavoro con la band su “Ignition”, ma noto soprattutto per aver lavorato con i pionieri True Sounds Of Liberty e The Adolescents) e spinti anche da un sano senso di competizione con i compagni di etichetta (Bad Religion, NOFX e Pennywise, all’epoca tutti più affermati di loro) Dexter e soci mettono letteralmente l’anima dentro “Smash”, mescolando surf, skate e rabbia giovanile in un cocktail micidiale che raccoglierà con gli interessi quanto seminato negli anni ’80 dai loro conterranei. Introdotto dalla spoken track “Time To Relax” (recitata dall’attore John Mayer, che tornerà con lo stesso ruolo su “IXNAY” e “Americana”) il disco parte subito in quinta con la rullata di “Nitro (Youth Energy)”, una dichiarazione d’intenti diventata manifesto per una generazione (nonchè nome dell’etichetta lanciata dallo stesso Holland nel 1995) e ancora oggi tra le più apprezzate, anche se mai rilasciata come singolo. Si scala letteralmente marcia con “Bad Habit”, canzone nata nei viaggi in auto di Dexter – che all’epoca faceva due ore al giorno per andare a scuola guidando un vecchio pickup Toyota che andava a settanta all’ora (prendendosi spesso e volentieri gli insulti degli altri automobilisti e un giorno perfino una lattina sul parabrezza) – e divenuta nel tempo un classico in sede live, così come la corale “Gotta Get Away” dove la sezione ritmica di Greg K e Ron Welty è assoluta protagonista in un midtempo che esce dagli stilemi punk in favore di sonorità più alternative rock. Si torna su ritmi veloci e testi politici con “Genocide”, per chi scrive una delle migliori canzoni melodic-hardcore di sempre grazie ad un refrain semplicemente perfetto, cui segue “Something To Believe In”, altro pezzo veloce baciato da un ottimo bridge, il cui unico ‘demerito’ è di trovarsi in mezzo a due capisaldi del genere. Sì, perché subito dopo arriva IL singolo per eccellenza (insieme a “Basket Case”) di quell’epoca: introdotta dall’ormai celebre verso “You Gotta Keep’em Separated” (cantato da Jason ‘Blackball’ McLane, un fan della prima ora così chiamato per l’insistenza nel chiedere l’omonima canzone) e dal classico riff orientaleggiante per dare un tocco più ‘latino’, il pop-punk di“Come Out And Play” conquista immediatamente un enorme airplay radiofonico e su MTV, contribuendo a far diventare “Smash” il disco indipendente più venduto di sempre, con oltre undici milioni di copie vendute (costringendo Brett Gurewitz ad ipotecare la casa per stampare più copie), e forgiando l’inconsapevole ‘calco’ su cui saranno poi costruiti altri singoli (dalla celeberrima “Pretty Fly” alle brutte copie “Original Prankster” e “Hit That”). Se “Come Out And Play” è la loro “Smells Like Teen Spirit”, la successiva “Self Esteem” è l’equivalente di “Come As You Are”: l’intro a cappella, il riff più rockeggiante e il testo adolescenziale sono gli ingredienti perfetti per un altro singolo di enorme successo, in un tempismo perfetto per un passaggio di consegne con la scena grunge agonizzante dopo la morte di Kurt Cobain. Se finora si è fatta la storia, da qui in avanti l’album prende una piega più ‘normale’, pur restando nei limiti dell’eccellenza tipici degli Offspring di metà anni ’90: “It’ll Be A Long Time” è un bel brano punk rock che scorre via veloce, “Killboy Powerhead” una cover di un pezzo composto dai The Didjits quattro anni prima e “What Happened To You?” una piacevole digressione nello ska. Velocità è anche la parola chiave di “So Alone”, mentre “Not The One” si ricorda per le linee di basso in evidenza e il testo arrabbiato addolcito dalla tipica timbrica nasale di Dexter Holland; chiusura in crescendo con la titletrack, altro caposaldo punk rock con le due chitarre in prima linea, prima di una ghost track quasi metal, troppo buona per essere scartata (e che infatti tornerà un paio d’anni dopo su “Change The World”). Col senno di poi potremmo definire “Smash” come il disco di transizione tra l’hardcore melodico dei primi due album e il punk/alternative rock dei successivi lavori – inevitabile contrappasso derivante dal passaggio su major dopo il successo mondiale di “Smash” per cui gli A&R tampinavano Dexter anche quando andava a buttare la spazzatura – ma a prescindere da quello che verrà dopo e dalla botta di culo (trovarsi al posto giusto al momento giusto) resta il valore di un disco che ha segnato una generazione, pietra miliare del cali-punk anni ’90 e trampolino di lancio per un’intera scena.