THE OLD DEAD TREE – Second Thoughts

Pubblicato il 10/12/2024 da
voto
7.5
  • Band: THE OLD DEAD TREE
  • Durata: 00:54:50
  • Disponibile dal: 06/12/2024
  • Etichetta:
  • Season Of Mist

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Il gothic metal, almeno quello più prettamente europeo, sorge dal death-doom di inizio anni Novanta, e va negli anni a inglobare via via ulteriori elementi, giungendo a essere, in molti casi, contiguo al progressive: si pensi ad esempio a quanto sperimentato dagli Anathema nella seconda metà della decade.
Ed è proprio sul finire dei Novanta che vedono la luce i The Old Dead Tree: una partenza col botto, perché nel giro di pochi anni il gruppo parigino realizza uno dei migliori debutti dell’epoca, “The Nameless Disease” del 2003, segnato profondamente dal suicidio del loro primo batterista Frédéric Guillemot e dall’incoscienza e spavalderia della gioventù, che permettono loro di confezionare un lavoro a cavallo tra vari stili ma dalla forte personalità, molto toccante e introspettivo.
Caratteristiche e pregi che si possono ritrovare anche in questa nuova fatica “Second Thoughts”, il quarto della carriera dei francesi: dovendo andare a ricercare dei riferimenti è possibile tirare in ballo certo progressive metal nordico dalle tinte dark, quale può essere quello dei Green Carnation o degli Amorphis, ma l’impianto generale è ancora estremamente personale.
In questa opulenta profusione di note, ben quattordici pezzi per quasi un’ora di musica, vanno senz’altro citate l’ottima apertura con “Unpredictable”, l’intrigante “The Lightest Straw”, molto vicina a certo avant-garde black metal di fine anni Novanta, la furente “Without A Second Thought”, con l’introduzione elettroacustica di “Better Off Dead”, la cangiante, dura e insieme delicata “Story Of My Life”, la spiazzante  “Solastalgia”, dai vocalizzi alla Savatage periodo Zachary Stevens, e “OK”, che rimanda addirittura ai Grip Inc. dell’ultimo album. Non ci sono veri e propri passaggi a vuoto, e per un album così lungo è di certo notevole, tuttavia alcuni episodi risultano un po’ più ‘normali’ come ad esempio “Luke”, “Fresh Start”, o “The Trap”.
L’arma in più dei francesi è di sicuro il loro cantante Manuel Munoz: la capacità di alternare cantato pulito e growl fa parte della storia del.gothic metal ed è forse la peculiarità che avvicina di più i parigini al sottogenere, ma rispetto a Nick Holmes dei Paradise Lost, a Aaron Stainthorpe dei My Dying Bride e alla maggior parte dei loro epigoni, che dal growl sono poi approdati negli anni a prediligere il cantato pulito, Munoz preferisce fin da subito quest’ultimo, e lo fa con una padronanza, una sicurezza e una personalità veramente sbalorditive; la sua capacità di danzare come un equilibrista sui corposi riff tessuti dal gruppo rimane intatta ed è assolutamente ammirevole. Difficile anche in questo caso trovare dei punti di riferimento, ma a grandi linee si potrebbe descrivere il suo cantato come una felice via di mezzo tra Maynard Keenan dei Tool e Vincent Cavanagh degli Anathema, come del resto in più di un’occasione le canzoni dei francesi sembrano proprio un incrocio tra le due formazioni, che li porta a poter essere definiti dark progressive metal piuttosto che gothic metal.
Nel growl Munoz può essere accostato agli specialisti del death metal melodico, e ciò si ricollega a quanto invece propongono stilisticamente gli strumentisti, che comunque sarebbe ingiusto mettere in secondo piano rispetto alla voce. Sono molto valide infatti anche le partiture strumentali, nell’insieme decisamente progressive metal, per l’eclettismo delle soluzioni e l’accuratezza tecnica, e indubbiamente legate al suono melodico di certo death metal di scuola svedese.
Le chitarre offrivano un taglio molto moderno vent’anni fa, all’epoca del debutto discografico “The Nameless Disease”; oggi tale caratteristica va un po’ a perdersi a causa del passare degli anni, ma è sicuramente ancora percepibile; la sezione ritmica, molto arrembante e vicina al generi più estremi del metal, è un piacevole e azzeccato contraltare all’impianto di fondo, che rimane sostanzialmente melodico.
Il fatto che stilisticamente i The Old Dead Tree non siano cambiati di molto nell’arco dei quattro album di inediti e degli oltre venticinque anni di carriera non deve far storcere il naso nella maniera più assoluta: bravi nel proporre fin da subito qualcosa di personale, irreprensibili nel renderlo compatto e omogeneo, coerenti nell’elargirlo fino ad oggi.
Non sempre il quasi ineccepibile Manuel Munoz centra la melodia veramente memorabile, talvolta si ha l’impressione che la voglia di strabiliare l’ascoltatore con soluzioni d’effetto prenda il sopravvento sulla capacità di scrivere semplicemente delle belle canzoni, ma questo “Second Thoughts” è un ritorno alla forma migliore, quella del magico debutto del 2003, che, se rimane irraggiungibile, è solo perché frutto di eventi e circostanze – nel bene e nel male – assolutamente irripetibili.

TRACKLIST

  1. Unpredictable
  2. Don't Waste Your Time
  3. The Lightest Straw
  4. Better Off Dead
  5. Without A Second Thought
  6. Luke
  7. Story Of My Life
  8. Fresh Start
  9. I Wish I Could
  10. The Trap
  11. Solastalgia
  12. OK
  13. The Worst Is Yet To Come
  14. Terrified
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