6.0
- Band: THE POODLES
- Durata: 00:57:19
- Disponibile dal: 28/04/2011
- Etichetta:
- Frontiers
- Distributore: Frontiers
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Per la serie "battiamo il ferro finché è caldo", nemmeno un anno dopo il live “No Quarter”, che seguiva a ruota il full-length “Clash Of The Elements”, i simpatici barboncini svedesi ci sbattono sul piatto un’altra uscita, ovvero il nuovo album “Performocracy”. Lodevole intenzione, che mostra una band attiva e straripante di voglia di fare, ma forse, almeno in questo caso, aspettare qualche tempo in più avrebbe forse giovato alle sorti del presente disco. Già immaginandosi diverse sopracciglia alzate (ma anche torce e forconi) per avere cominciato la recensione con dei connotati negativi per una band che finora ha sempre raccolto consensi, ci affrettiamo a specificare che il qui presente “Performocracy” non è un disco brutto, anzi, fornisce in alcuni punti momenti davvero esaltanti, ma sicuramente era un disco che poteva venire meglio se ‘pensato’ un po’ più a lungo. E per ‘pensato’ non intendiamo certo che andasse composto a tavolino come un disco prog di pessima lega: dopotutto, stiamo parlando di hard rock melodico che da sempre ha i connotati della musica istintiva. Intendiamo solo dire che qualche domanda in più su quello che si stava facendo la band avrebbe potuto farsela. Magari avrebbero cambiato la posizione di alcuni pezzi in scaletta, oppure avrebbero potuto scartare alcune canzoni che danno un po’ l’idea del filler… insomma, stavolta i ragazzi sembrano aver peccato di fretta, e questo purtroppo pesa sul disco, che risulta carino ma troppo episodico, ed esageratamente affossato da quei tre o quattro pezzi non all’altezza del resto. E dire che la partenza faceva pensare al consueto album bomba… il trittico iniziale “I Want It All” (esplosiva!), “Until Our Kingdom Falls” e “Father To A Son” (dal ritornello eccezionale) è di quelli che non lascia scampo. Hard rock di classe, con una produzione eccellente, sempre coinvolgente e altamente melodico… una vera bomba! Peccato che poi però tutte queste prelibatezze ci vengono tolte non appena apparecchiata la tavola, in quanto, già dalla successiva “I Believe In You”, le cose cominciano a non andare come dovrebbero. “Cut’s Like A Knife” e la ballad “As Time Is Passing” si salvano, ma le successive “Love Is All” e “Your Time Is Now” sono solo carine. Anche se sulla fine dell’album qualche colpo di coda riesce a strapparci qualche sorriso (la rockeggiante “Bring Back The Night”, che ricorda i Nickelback di “Black Horse”) arriviamo alla fine quasi annoiati. Certo, l’impatto con le tre canzoni iniziali inficia molto sul giudizio, ma comunque anche la posizione in scaletta dei singoli pezzi deve essere parametro di giudizio per una recensione. L’impressione finale è dunque quella di un disco ben fatto, dove le idee ci sono e le capacità pure (già ampiamente dimostrate, tra l’altro), ma un po’ troppa fretta di pubblicare ha fatto si che l’album raggiungesse in mercato in maniera un po’ incompleta, con qualche pezzo che era possibile migliorare. Sufficienza, perché stiamo parlando di una band che anche quando è poco ispirata riesce a tirar fuori prodotti superiori a molte altre band dello stesso genere, però, nel rispetto della loro discografia essa risulta un po’… risicata. Peccato, possiamo certo essere felici delle cinque canzoni veramente belle che ci sono state date, ma per un album di tredici tracce sono decisamente un po’ pochine.