8.0
- Band: THE PRETTY RECKLESS
- Durata: 00:45:20
- Disponibile dal: 18/03/2014
- Etichetta:
- Cooking Vinyl
- Distributore: Edel
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“Hell Ain’t A Bad Place To Be” è il titolo di una celebre canzone degli AC/DC interpetata con tono beffardo da Bon Scott, che di lì a poco avrebbe rappresentato la colonna sonora per il suo viaggio nell’aldilà. La discesa negli inferi è un argomento trattato ciclicamente da centinaia di rock band da almeno quarant’anni a questa parte. In questo caso, le sembianze diaboliche vengono assunte da Taylor Momsen, modella, attrice e cantante che interpreta con fare lascivo il ruolo di un’affascinante demone in grado di rapire i nostri sensi nel giro di pochi istanti. I (sedicenti) puristi del rock avranno di che discutere nelle proprie improvvisate assemblee condominiali, sul fatto che la sua immagine provocante possa essere utilizzata come veicolo principale per attirare l’attenzione dei maschietti con gli ormoni a palla. Il tutto possibilmente a discapito dell’oggettiva qualità delle canzoni contenute su “Going To Hell”, secondo capitolo firmato dai The Pretty Reckless, semplicemente grandiosi nel confezionare un prodotto che sintetizza con efficacia le migliori peculiarità dell’hard rock moderno d’oltreoceano. La bionda protagonista, nota ai più per aver recitato nella serie TV “Gossip Girl” e nell’inquietante lungometraggio “Paranoid Park” di Gus Van Sant, è ritratta sulla copertina senza veli, di spalle, con una freccia dipinta sulla schiena, che lascia ben poco alla nostra immaginazione. Spulciando tra i credits, appuriamo che tutti gli episodi di “Going To Hell” portano la sua firma (coadiuvata in otto episodi su dodici dal chitarrista Ben Phillips), gradita testimonianza di un talento volenteroso di dimostrare alla critica e al pubblico di avere tutte le carte in regola per rivaleggiare con colleghe ben più blasonate. La produzione è stata affidata con successo a Kato Khandwala, già all’opera con Drowning Pool, Papa Roach e Paramore, artefice di un sound energico, potente e vitale. Il verbo di Joan Jett viene aggiornato al ventunesimo secolo con “Heaven Knows”, anthem meritevole di raccogliere il testimone lasciato trent’anni or sono da “I Love Rock N’ Roll”. “Why’d You Bring A Shotgun To The Party” è un provocatorio rhythm and blues capace di far impallidire gli ultimi tre dischi di Marilyn Manson in soli tre minuti e venti secondi. La title track e “Sweet Things” si impossessano in maniera credibile della strabordante aggressività tipica dell’heavy metal, mentre “House On A Hill” è una passionale ballata in grado di mietere un enorme quantitativo di vittime, grazie al suo chorus sublime. I mugolii erotici che introducono “Follow Me Down” mutano in poche battute nel feroce ruggito felino della Momsen, abile nel modulare il proprio timbro su registri vocali cangianti. “Dear Sister” e “Burn” appaiono come due piacevoli ma innocui interludi per chitarra e voce, capaci di mutare dopo un paio di ascolti in qualcosa di decisamente più intenso. “Fucked Up World” sfida con mano di ferro e guanto di velluto le Hole di Courtney Love, lasciando la chiusura a “Waiting For A Friend”, ruspante e rurale roots rock che rievoca addirittura un gigante del genere come Neil Young. Cercate di non commettere l’errore grossolano di ignorare quest’album per partito preso, salvo poi rivalutarlo tra qualche anno. Determinate emozioni vanno vissute ora, domani potrebbe essere già troppo tardi…