6.0
- Band: THE PROJECT HATE MCMXCIX
- Durata: 01:19:57
- Disponibile dal: 25/12/2014
- Etichetta:
- Distributore:
Spotify:
Apple Music:
A distanza di poco più di un anno dal precedente “The Cadaverous Retaliation Agenda”, tornano i The Project Hate MCMXCIX e lo fanno con il loro solito carico pesantissimo da mille e passa tonnellate. Tanto fumo quanto poco arrosto, ancora una volta, e così tanta perfezione esecutiva associata al totalmente nullo perdurare nel tempo della loro musica. Ormai quasi diventati la macchietta di loro stessi e dei loro promettenti inizi, gli svedesi arrivano al nono full-length album di una discografia molto corposa, costellata da brani dai titoli e dalla durata sempre più lunghi e che inglobano in essi una quantità tale di atmosfere e stili musicali da perderci davvero la testa. Eppure, anche in questo “There Is No Earth I Will Leave Unscorched”, la band non riesce a tenere per i pugni il bandolo della matassa e, invece di creare strutture progressive e/o avantgarde tenute in piedi da un’organicità funzionale, si perde in miriadi di cambi di tempo e mood, soluzioni vocali e chitarristiche sì ben studiate ma anche completamente autonome e gelide, in modo da ottenere, come risultato finale, dei giganti taglia&cuci delle sette note, puzzle da 5000 pezzi che una volta montati perdono tutto il loro fascino e il loro divertimento, canzoni-epopea di cui nulla o quasi nulla resta in mente al termine dell’ascolto. La formazione guidata dal leader tuttofare Lord K. Philipson e dal vocalist Jorgen Sandstrom (ex-Grave, ex-Entombed) si è arricchita di tecnica e versatilità reclutando alla batteria il tentacolare belga Dirk Verbeuren (attivo ormai in decine di progetti) e alla fondamentale voce femminile la quarantatreenne sconosciuta Ellinor Asp, davvero brava e particolare nella sua interpretazione decisamente rockeggiante e comunque a 360°. Ellinor è la quarta cantante – dopo Mia Stahl, Jo Enckell e Ruby Roque – a prestare servizio nei The Project Hate MCMXCIX ma, nonostante la buona volontà mostrata e le indubbie abilità interpretative, anch’ella non riesce a farci amare il suono della band. Band che, sebbene resti fumosa all’inverosimile, continua a dimostrarsi capace di creare ottimi mini-spezzoni di song, a volte richiamando Meshuggah e Fear Factory, altre volte avvicinandosi ad entità quali Behemoth e The Monolith Deathcult, spesso imbastendo sezioni dissonanti ma orecchiabili, ogni tanto creando partiture che fanno venire in mente i Therion più aperti a contaminazioni rock; e poi c’è il solito camion di arrangiamenti elettronici-industrial e di connessioni acustico-classiche che rendono ancora più caleidoscopico il potenziale bellico a disposizione dei quattro. Peccato che, come già ripetuto sopra, una volta scolpite le singole parti, la fisionomia definitiva del modellino creato sia di cattivo gusto e poco resistente alle intemperie. Sicuramente a qualcuno continueranno a piacere, ma il nostro giudizio è in continua decadenza. Sintesi, signori. Sintesi e snellire le composizioni. Altrimenti è finita.