8.0
- Band: THE RUINS OF BEVERAST
- Durata: 01:07:38
- Disponibile dal: 05/05/2017
- Etichetta:
- Ván Records
Come sempre, lo sforzo richiesto all’ascoltatore dai The Ruins of Beverast per metabolizzare un nuovo album è considerevole. Dedizione, pazienza e perseveranza sono armi indispensabili nel momento in cui si decide di premere il tasto ‘play’, anche se va detto che in poco meno di quindici anni di carriera la creatura del cantante/polistrumentista Alexander von Meilenwald ha sempre saputo ricompensare tale abnegazione con dischi di raro fascino e carisma, in grado di depositarsi sottopelle e farsi ricordare alla stregua di piccoli capolavori (basti pensare agli ottimi “Foulest Semen of a Sheltered Elite” e “Blood Vaults – The Blazing Gospel of Heinrich Kramer”). Il discorso ovviamente non cambia con “Exuvia”, opera che fin dal titolo – il termine indica i resti dell’esoscheletro di un insetto – sembra segnare un mutamento stilistico nella musica del Nostro, il quale prosegue sulla scia dell’EP-antipasto “Takitum Tootem!” e si abbandona agli effluvi di un misticismo risalente alla notte dei tempi, quando fuochi aromatici e litanie tribali ascendevano verso le stelle per mano di popoli oggi scomparsi. Ecco quindi che la magistrale commistione di black e doom alla base del progetto, venata da una moltitudine di influssi che spaziano dal death all’epic, finisce per assumere i connotati di una trance sciamanica, di una catarsi in cui la mente vola libera su scenari antichi e incontaminati, fino a sconfinare nella pura visionarietà. A tal proposito, la titletrack posta in apertura parla chiaro, e invita a prendersi il giusto tempo prima di cominciare il viaggio: quindici minuti scanditi da arpeggi, riff e solismi ipnotici che guardano nemmeno troppo velatamente a certa psichedelia anni ’70, con la vocalità poliedrica di von Meilenwald e i continui strappi della sezione ritmica a fungere da crocevia della narrazione, per un risultato finale che, a conti fatti, non trova altri riscontri nel panorama underground. Le transizioni tra i movimenti doom e quelli prettamente black/death avvengono in assoluta armonia, le melodie brillano per efficacia e intensità, risuonando ora drammatiche (“Surtur Barbaar Maritime”) ora eroiche (“The Pythia’s Pale Wolves”) nell’aria crepuscolare della tracklist, mentre i brani si presentano come un qualcosa di molto più ricco e sfaccettato della somma delle singole parti, riportando alla mente diverse esperienze extreme metal senza ricordarne con precisione nessuna. Musica imprevedibile nell’accezione migliore del termine, del tutto padrona delle emozioni di chi ascolta, dove il coraggio di estendere i propri orizzonti è puntualmente supportato da un songwriting inattaccabile. Questo è “Exuvia”, il suono della Terra e delle sue leggende millenarie, uno degli apici artistici dell’anno.