10.0
- Band: SMASHING PUMPKINS
- Durata: 02:01:39
- Disponibile dal: 23/10/1995
- Etichetta:
- Virgin
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Se il 1991 è stato un anno di grazia per il rock – pensiamo all’epitaffio artistico di Guns n’ Roses e Queen con il doppio “Use Your Illusion” ed “Innuendo”; all’esplosione del grunge con “Nevermind” e “Ten”; ad album iconici per U2 e R.E.M. come “Achtung Baby” e “Out Of Time”; alla consacrazione mainstream di Red Hot Chili Peppers e Metallica grazie a “Blood Sugar Sex Magic” e al Black Album, solo per citare i più noti -, il resto degli anni ’90 ha visto affermarsi sugli allora sempre più influenti palinsesti di MTV altri generi (grunge, cali-punk, nu-metal, brit-pop, boy-band, electro…), facendo temere quanto sopra fosse stato il canto del cigno. Nondimeno, pur senza ripetere l’abbondanza d’inizio decennio, è indubbio che il rock non fosse morto, e una delle migliori prove in questo senso è il terzo album degli Smashing Pumpkins (o The Smashing Pumpkins).
Dopo l’ancora acerbo esordio “Gish” (uscito, guarda caso, nel 1991) e il meraviglioso seguito “Siamese Dream”, anch’esso annoverato tra i migliori album rock del decennio, la consacrazione definitiva per le Zucche di Chicago arriva nel 1995 con l’epico “Mellon Collie and the Infinite Sadness”, ambizioso e caleidoscopico doppio album in cui la creatività del quartetto raggiunge lo zenit. Nonostante l’ingombrante presenza del padre-padrone Billy Corgan, che già nel precedente album aveva ri-registrato praticamente tutto in quanto non soddisfatto del risultato, è d’uopo citare il sottovalutato chitarrista James Iha, qui anche autore di un paio di pezzi, il fenomenale batterista Jimmy Chamberlin, asse portante insieme al già citato lider maximo, e la bassista D’arcy, degni attori non protagonisti insieme ai produttori Flood e Moulder, subentrati a Butch Vig.
Dalla rabbia glam-metal di “Zero” alla dolcezza dream-pop di “Tonight Tonight”, dall’inno generazionale post-grunge “Bullet With A Butterfly Wings” alla malinconia new-wave di “1979”, chiunque sia nato a cavallo tra gli anni ’70 e ’80 è abbastanza probabile abbia nel proprio diario mentale delle cartoline legate a questi pezzi e relativi video; ma sarebbe quanto mai ingiusto limitare il successo di “Mellon Collie…” ad una manciata di singoli, se pur di straordinario clamore. Partendo dal disco rosso (“Dawn To Dusk”, in cui è narrata la giornata di un ragazzo dall’alba al tramonto), meritano una menzione il noise-rock di “Jellybelly” e “An Ode To No One”, la dolcezza di “To Forgive” e le melodie sognanti di “Galapagos”, il proto-industrial di “Love” e il dream-pop di “Cupid De Locke”, lo space-rock di “Porcelina Of The Vast Oceans” e finanche la ninna nanna di “Take Me Down”, cantata dallo stesso Iha. La seconda metà del concept (disco blu, “Twilight To Starlight”) riprende il piglio aggressivo con l’heavy-grunge di “Where Boys Fear To Tread” e “Bodies” (iconico il ritornello ‘Love is suicide’), per poi virare sulla delicatezza con “Thirty-Three” e la ballata acustica “In The Arms Of Sleep”, perfetta antitesi al noise-metal di “Tales Of A Scorched Earth” e “X.Y.U.”; d’obbligo citare anche l’altra mini-suite “Thru The Eyes Of Ruby” – forse la migliore tra le meno note del repertorio di Corgan -, così come il trittico di pastiche finali, “We Only Come Out At Night”, “Beautiful” e “Lily (My One And Only)”, probabilmente non all’altezza di quanto sentito finora ma comunque imprescindibili ingredienti della magia complessiva, prima che la dolcissima “Farewell And Goodnight”, cantata a turno da tutti e quattro i membri della band, faccia calare definitivamente il sipario.
Venticinque anni dopo, “Mellon Collie and the Infinite Sadness” non ha perso un grammo della sua poesia, di cui il fiabesco booklet è parte integrante, segno di un’epoca in cui la musica era ancora fisica, restando una delle più vivide fotografie del decennio e di una generazione in cerca di nuovi idoli dopo la prematura scomparsa di Kurt Cobain. Non sarà evidentemente Corgan a raccogliere il testimone, perso tra cambi di line-up e progetti sempre meno ispirati, ma ciò non fa che aumentare il fascino di questo album, opera struggente di un formidabile genio all’apice del suo splendore creativo.