7.5
- Band: THE SONIC DAWN
- Durata: 00:37:16
- Disponibile dal: 01/03/2020
- Etichetta:
- Heavy Psych Sounds
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Il viaggio psichedelico dei The Sonic Dawn prosegue senza sosta, arricchendo la loro discografia del quarto capitolo, sempre su Heavy Psych Sounds, etichetta che non sbaglia un colpo in questo genere di sonorità. I tre danesi non hanno la minima intenzione di spostare le coordinate da un passato fatto di suoni morbidi e sognanti, capelli e barbe incolti, incenso e trip acidi, anzi sono andati ancora più indietro nel tempo: se nei dischi precedenti il loro rock presentava qualche accenno ai riff hard degli anni ’70, “Enter The Mirage” sembra aver eliminato ogni asprezza per avvolgersi totalmente nelle atmosfere del decennio precedente. I punti di riferimento sono arcinoti: i Pink Floyd dell’era Syd Barrett, la psichedelia West Coast dei Jefferson Airplane, qualcosa dei The Doors più lenti e strascicati, i Vibravoid (se proprio si vuole trovare un’influenza coeva); ma, soprattutto, in questo disco le melodie suonano beatlesiane come non mai. Proprio i Fab Four del periodo più lisergico sembrano essere la fonte di ispirazione principale di questi dieci pezzi, tutti suonati con un appeal molto pop e di facile ascolto, grazie anche al minutaggio sempre contenuto, eppure non per questo banali, scontati o ripetitivi. Intrigante la resa sonora, con un feeling live che cerca di ricreare su disco l’atmosfera colorata e vintage dei concerti della band di Copenaghen. Il tutto scorre in modo fluido e rilassato, ma alcuni brani meritano sicuramente una citazione: “Shape Shifter” ha un andamento cantautorale, con la voce ovattata che si erge a protagonista; in “Loose Ends” fanno capolino i suoni orientaleggianti di un sitar (anche questo ereditato dai Beatles?) che rimanda ai Kula Shaker; “Hits Of Acid”, non a caso scelta come singolo, si contraddistingue per i suoi raffinati contrappunti di chitarra che la rendono ipnotica e coinvolgente. Curiosamente, questa esplosione di creatività è nata da una serie di situazioni negative che il frontman Emil Bureau ha vissuto sulla propria pelle: “Prima ho perso ho perso mio padre, poi il mio lavoro, infine la mia volontà di essere un servitore di tutto ciò che non è pace, amore e libertà”. Proprio la libertà è il tema portante di un disco che parla di “visioni che sembrano essere troppo distanti per essere reali. Ma solo coloro che intraprenderanno il viaggio saranno in grado di raggiungerle”, come spiega lo stesso cantante. Una volta entrati in questo mondo è impossibile non percepirne le vibrazioni positive.