7.0
- Band: THE TANGENT
- Durata:
- Disponibile dal: 22/09/2003
- Etichetta:
- Inside Out
- Distributore: Audioglobe
Spotify:
Apple Music non ancora disponibile
La costituzione dei supergruppi sembra oramai divenuta una regola consolidata all’interno del music biz. Nomi stellari coinvolti in mille progetti più o meno importanti, salvo poi scontrarsi con la delusione del fan il quale, dopo aver letto i crediti del disco di turno, si rende conto che il suo idolo non ha partecipato al processo compositivo di quell’album, e che bensì il suo apporto si è limitato semplicemente all’esecuzione di qualche assolo. Fortunatamente non è ciò che accade nel caso dell’opera prima dei Tangent, una formazione a cinque stelle di recente costituzione che vede coinvolti nomi “pesanti” del panorama prog. Dietro il monicker si celano le identità di Roine Stolt, Jonas Reingold e Zoltan Csoraz (The Flower Kings), Sam Baine e Andy Tillison (Parallel Or 90 Degrees), il semisconosciuto chitarrista/songwriter Guy Manning ed il redivivo David Jackson (leggendario sassofonista dei Van Der Graaf Generator). Artefici di un prog multiforme, debitore di tre decadi di sperimentazioni sinfoniche, articolano la loro proposta in tre lunghe composizioni di grande fascino. Se “In Darkest Dreams” vanta dei richiami alle sonorità del primo Peter Hammill combinate con fughe di Hammond ed un curioso cantato in puro stile Lake, la successiva “The Canterbury Sequence” pesca (come si evince dal titolo) a piene mani dal sound di formazioni quali Soft Machine ed Hartfield And The North, il tutto rivisitato secondo i parametri tecnologici di oggi. Leggermente anonima la conclusiva titletrack, un pop intellettuale abbastanza stucchevole e fuori contesto. L’unica nota stonata di un disco-rivelazione.