9.0
- Band: THEATRE OF TRAGEDY
- Durata: 00:44:29
- Disponibile dal: 04/07/1995
- Etichetta:
- Massacre Records
- Distributore: Self
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L’album di debutto dei norvegesi Theatre Of Tragedy, dal titolo omonimo, è realmente una pietra miliare – forse LA pietra miliare – del gothic-doom metal con doppio cantato. A sprazzi i seminali Celtic Frost, con risultati altalenanti i più blackish Cradle Of Filth, saltuariamente i cupissimi primi Anathema e senza riuscirci al meglio gli olandesi The Gathering, prima di loro si erano proposti o avevano tentato di fondere in un tutt’uno una profonda voce maschile e soavi vocalizzi femminili; conterranei dei Theatre Of Tragedy, i The 3rd And The Mortal, stavano già iniziando ad affascinare il primo underground gothic metal, verissimo, ma Kari Rueslatten era sola alle vocals. E’ infatti con il disco qui presentato che avviene la perfetta, immacolata unione tra i due cantati, oltretutto completamente estremizzati e risoltisi in un growl catarroso per la parte maschile ed una leggiadra e quasi eterea tonalità per l’alter-ego femminile. In questo lavoro vengono inventati tutti i cliché che ritroveremo per gli anni a venire quando si arriverà a parlare di siffatto genere. Ma in che modo i Theatre Of Tragedy hanno praticamente creato un modo di interpretare il metallo oscuro, decadente e gotico? Be’, principalmente apportando delle profonde variazioni a quel death-doom metal britannico – My Dying Bride e Anathema, molto meno Paradise Lost – che a metà anni ’90 faceva uscire alcuni suoi capisaldi, come ad esempio “The Angel And The Dark River” e “The Silent Enigma”. Il riffing di Tommy Lindal e Pal Bjastad ed il drumming di Hein Frode Hansen devono infatti moltissimo a quanto fatto dai due gruppi inglesi succitati, sebbene le band siano quasi contemporanee; è però in altre sezioni del songwriting che i Theatre Of Tragedy tirano fuori il coniglio dal cilindro. Come immaginabile, le voci innanzitutto: Raymond I. Rohonyi e una giovanissima Liv-Kristine Espenaes sono semplicemente strepitosi nell’interpretare e generare i classici contrasti Bene/Male, Angelo/Diavolo, Romanticismo/Carnalità, Amore/Morte, che oggi ci sembrano così scontati e banali ma che allora, nel 1995, erano ancora ai primi stadi. E poi ci sono le ottime parti di pianoforte e tastiera di Lorentz Aspen, che sublimano nel masterpiece assoluto dell’album, la lunghissima e ipnotica ballata “…A Distance There Is…”, uno dei brani più commoventi ed emozionanti che il genere abbia mai regalato. Anche le lyrics contribuiscono ad ingrandire il mito di questo lavoro: sono infatti scritte in un inglese che miscela tratti shakespeariani al Middle English del tardo Rinascimento, evidente segnale di grossa ricerca e studio nel cercare di proporre un concept originale e proditoriamente combaciante con le atmosfere teatrali del disco, trascinato dall’opener “A Hamlet For A Slothful Vassal”, forse la canzone più nota del Teatro di Tragedia. Ma sono altri episodi – ed in particolare “To These Words I Beheld No Tongue” e “Sweet Art Thou” – che rendono meglio l’idea della proposta dei primi Theatre Of Tragedy, fondata su slow- e mid-tempo catartici e sinistri, ingentiliti dalle keyboards e da archi estemporanei. La produzione affidata al guru Dan Swano e ai suoi Unisound Studios compie il resto del lavoro e davvero consegna alla Storia del Metal un album che ancora oggi fa venire i brividi e che non ha perso un’oncia del suo antico impatto. Un enorme Capolavoro.