7.0
- Band: CEREMENTED , THECODONTION
- Durata: 00:28:54
- Disponibile dal: 07/04/2023
- Etichetta:
- I Voidhanger Records
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È nuovamente uno split il formato prescelto dai romani Thecondontion per aggiornare la propria veste sonora. Dopo la riuscita simbiosi con la one-man band Vessel Of Iniquity nel 2021, questa volta il patto è sigillato con gli americani Ceremented. In questo caso, le affinità concettuali sono da ricercarsi sia nel genere proposto – death metal l’alveo di partenza di entrambi – e nella scelta di non utilizzare la chitarra, dando campo libero e totali responsabilità di coloritura dei brani al basso. I quali sono due per ambo i gruppi. Detto di queste assonanze, la conformazione stilistica di Thecodontion e Ceremented diverge percettibilmente, così da farci apprezzare il death metal ‘bassocentrico’ da angolature assai differenti.
In questi ultimi due anni i Thecodontion da duo sono passati a quartetto, annettendo un secondo bassista e un batterista alla line-up ufficiale. Nel frattempo, si è anche deciso di rimpolpare il tessuto sonoro con abbondanti tappeti di sintetizzatori, dalle venature in prevalenza vintage. Se già si era notata la voglia di dare un taglio atmosferico alla propria musica, ricercando un suono ampio e nient’affatto richiuso in se stesso, ecco che ora la formazione romana può affermare di aver ulteriormente ampliato il suo raggio d’azione. Nelle due composizioni originali a suo appannaggio, infatti, si fa notare l’ampiezza di suono ottenuta, l’aver spinto considerevolmente sul lato immaginifico e onirico della propria proposta. Questo senza intaccare il cuore concettuale del progetto, con il basso a fungere tutt’ora da traino. L’attuale intrecciarsi di bassi e synth porta a un’atmosfera epicheggiante, le tracce scorrono accarezzando momenti di grande soavità, garantite dal contrasto tra ritmiche arrembanti, melodie squillanti e slanci in sofisticate atmosfere avant-garde. Si percepisce come i nuovi innesti abbiano donato ulteriore slancio alla formazione, i Thecodontion hanno mantenuto la loro unicità e aggiunto anche altri elementi, riempiendo quelle piccole sensazioni di vuoto presenti all’epoca di “Supercontinent” e già ridotte nel precedente split.
Per la terza traccia c’è un esperimento spiazzante, ovvero la cover di “La Torre” di Franco Battiato. Un’occasione dove si utilizza, per la prima volta nella breve storia della band, la voce pulita: il risultato è decisamente buono, c’è molto rispetto per l’intonazione originale di Battiato e come questa canzone era stata interpretata in origine. È un omaggio quindi riuscito, perché sul piano strumentale i Thecodontion si adattano bene al contesto, pur non snaturandosi mimiamente e, come detto, sul fronte vocale è tutto al posto giusto.
Dalle venature cantautorali di Battiato alla marcescenza delle fogne, il salto è forte e ci ricorda quanto sia effettivamente sordido, maleodorante, decomposto il death metal nella sua conformazione più ripugnante e aderente ai suoi dogmi fondanti. I Ceremented, non fosse per l’assenza delle chitarre, sarebbero i tipici rappresentati del death metal vecchia concezione che sta appassionando molte giovani formazioni in tutto il mondo. Un’interpretazione del genere che si rivolge ai numerosi fan degli Incantation e a tutte le formazioni che ad essi si ispirano. Per i ragazzi di Phoenix il rifarsi a quei canoni significa stare ben fissi in sonorità d’altri tempi, grumose, livide, ben poco evolute. È un death-doom scarno e ‘cantinesco’ il loro, come se uscisse effettivamente da un demo novantiano. Melodie pronunciate, passaggi ariosi, un minimo di complessità di scrittura e negli arrangiamenti, sono concetti per i quali il quartetto non ha alcun interesse. Ogni passaggio trasuda lerciume, di quello vecchio, rimasto lì da secoli. L’olezzo di Autopsy e primi Obituary, anche grazie a una produzione davvero sudicia, è pungente: i bassi crepitano, intossicati di fuzz e accordati per essere il più catacombali possibili, sostituendo benissimo le chitarre nella loro opera di annientamento. Per loro ci sono una lugubre intro, due brani sotto i tre minuti e uno che sfiora i sette. Sui tempi brevi, la band si distingue per accelerazioni brucianti e scompostezza giovanile, di chi sta ancora cercando di capire bene cosa fare e come sviluppare le sue idee. Meglio allora quando si punta sulla pesantezza e un andamento magmatico, soffocante, come avviene in “Disease.Death.Kontrol (Contravene of Death’s Hand)”: in chiave un filo più atmosferica ed evocativa, i Ceremented guadagnano sicuramente dei punti. Sul piano creativo è chiaro che il gruppo si allinea a un sentimento dominante sulla scena, senza aggiungere molto di suo; ma l’atmosfera autentica e la convinzione nel maneggiare l’arsenale del genere fanno apprezzare i loro sforzi. Una buona uscita minore, questo split, utile per seguire i passi in avanti compiuti dai deathster italiani e scoprire un’altra agguerrita realtà a stelle e strisce.