6.5
- Band: THEDUS
- Durata: 01:03:00
- Disponibile dal: 28/07/2023
- Etichetta:
- Argonauta Records
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Per la maggior parte della loro esistenza, i Thedus sono stati in silenzio. Il trio parmense era infatti partito di buona lena nel 2019, pubblicando in pochi mesi l’EP “Thedus I” e uno split coi Carcharodon, per poi subire un’improvvisa battuta d’arresto durante la pandemia. Oggi, a quattro anni di distanza e dopo aver nuovamente ingranato con i live, i Thedus tornano a fare rumore con “Hypnosis”, prima prova sulla lunga durata. Il titolo è pieno di promesse, visto il genere dei nostri: uno sludge-doom strumentale dalla vocazione psichedelica, ispirato a Electric Wizard, Yob, Neurosis e naturalmente Ufomammut.
Queste promesse vengono però esaudite solo in parte, nell’ora abbondante di musica che i Thedus ci propongono. Pur dimostrando una certa inventiva, infatti, “Hypnosis” non riesce pienamente a trascinare l’ascoltatore nel proprio flusso: i brani giustappongono un riff dopo l’altro mantenendo, a grandi linee, sempre la stessa architettura, cosicché da un certo punto in poi l’album risulta al tempo stesso prevedibile e un po’ erratico. In questo susseguirsi di soluzioni più o meno imparentate tra loro, si innestano un’opener interessante, ma non del tutto integrata col resto del lavoro, e una serie di dilatazioni non sempre organiche.
Partiamo proprio dall’inizio del nostro viaggio onirico in compagnia dei Thedus: “Profondo” è una sorta di lunghissima intro, dieci minuti di suggestioni quasi drone sulle quali aleggia, ultraterrena, la voce di uno psicanalista che ci induce a perdere contatto col nostro corpo. L’effetto è davvero ipnotico: possiamo fidarci? Possiamo abbandonarci a questo Doktor Freud così fermo, ma anche un po’ inquietante? Inutile farsi domande, non c’è scampo. Gli accordi finali, che ci collegano alla successiva “Regression”, annunciano che abbiamo capitolato e che la regione dell’inconscio verso cui stiamo precipitando non è delle più ospitali.
Pochi secondi dopo, siamo di nuovo completamente svegli. Alla mesmerizzante litania iniziale fa seguito un caleidoscopio di riff dal sound vagamente vintage, che si succedono a ritmo sostenuto nell’incalzare di una batteria primordiale. Il brano transita poi per una parentesi più rarefatta dalla quale fuoriesce trasformato, seguendo un andamento più melodico e solenne che lo accompagna verso la chiusura con un rallentamento prima graduale, poi brusco, fino al dissolvimento tra gli echi di poche note solitarie.
Incerti su cosa aspettarci dopo due pezzi così diversi, proseguiamo con “Stranger Lights”. Qui i Thedus incedono inesorabili su un terreno prettamente sludge, con riff pesanti e suoni paludosi che offrono uno dei momenti più riusciti dell’album. Come nell’episodio precedente, verso la metà il brano prende una svolta abbastanza repentina, moderando il ritmo e instaurando, stavolta, quasi un “botta e risposta” tra chitarra e sezione ritmica. Poi, ancora una volta, un finale largo e rarefatto.
Formula simile, ma meno incisiva, per la successiva “Forest”: la partenza è discreta, poi i riff si susseguono tra una soluzione di continuità e l’altra fino a portarci, a metà percorso, al consueto rallentamento che qui assume i connotati di una digressione melodica ora evanescente, ora epica, fino ad evaporare nei secondi finali. Il riempitivo atmosferico “The Darkness Prevail” introduce “Mind Control”, il pezzo più esteso di “Hypnosis”. Ormai le soluzioni dei Thedus ci suonano familiari e a metà del brano quasi ci aspettiamo la frenata, la radura sonora e la maestosa prosecuzione in quattro quarti. “Labyrinth” chiude senza troppe sorprese, riportandoci in parte alle atmosfere iniziali.
In conclusione, possiamo dire che “Hypnosis” ci dà un’idea piuttosto chiara di chi i Thedus vogliano essere, facendoci intuire che al loro arco non mancano le frecce. Si tratta solo di aggiustare un po’ la mira.