8.0
- Band: THEOPHONOS
- Durata: 00:40:00
- Disponibile dal: 09/02/2024
- Etichetta:
- Profound Lore
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Due indizi, come si suol dire, non fanno una prova. Ma quando un primo album raccoglie ampi consensi in certi circoli underground e un’etichetta della rilevanza della Profound Lore spende denaro e tempo a favore di una band… Beh, quest’ultima ha molto presumibilmente qualcosa di rilevante.
Del resto, il progetto Theophonos è agli inizi soltanto sulla carta: dietro questo moniker troviamo infatti il polistrumentista e cantante Jimmy Hamzey, in passato mente dei Serpent Column, gruppo avantgarde/dissonant black metal che ha confezionato tre album e altrettanti validi EP tra il 2017 e il 2021. Chiuso quel capitolo, l’artista statunitense ha quindi avviato questa nuova realtà, concentrandosi su una proposta più pesante, cupa e al contempo maggiormente dinamica a livello espressivo, ponendosi in un ipotetico crocevia fra varie correnti di musica estrema. Se la prima incarnazione della band si muoveva all’interno di un contesto prettamente metal, deviato e distorto a tal punto da fondere talvolta un approccio thrasheggiante con le dissonanze di Deathspell Omega o Krallice, con Theophonos il leader del progetto, ha aperto anche a una vena math/post-hardcore che si sposa sorprendentemente bene con certe arie discordanti da sempre alla base delle trame.
“Nightmare Visions”, full uscito lo scorso anno, ci ha fornito un assaggio di questa nuova tendenza, ma è con il nuovo “Ashes In The Huron River” che lo stile della one man band viene definitivamente consolidato.
È una forma di extreme metal spigolosa ma al contempo ben attenta al proprio lato emotivo, ciò che sin dal primo impatto salta all’orecchio dell’ascoltatore, ancora ignaro di chi componga e in cosa consista quest creatura. Immediatamente dopo, non si possono non notare i frementi giri di chitarra e le incalzanti linee di basso, perfettamente supportati ritmicamente da una batteria insistente. I Theophonos si possono rozzamente catalogare come black metal, come del resto un sacco di giovani band contemporanee, ma Hamzey declina tali sonorità specificamente a modo suo, non tralasciando appunto le significative lezioni di certe realtà particolarmente cerebrali del panorama hardcore. Botch, Converge e Zao si fanno sentire nella musica del progetto, a partire da alcuni riff di chitarra, scaltramente incastrati fra le partiture più disarmoniche e black metal, ma anche e soprattutto nella viscerale istintività che guida l’interpretazione del frontman e in certe pennellate di melodia capaci improvvisamente di evocare dal nulla un sorprendente mood elegiaco.
Un elemento già distintivo della musica dei Theophonos è l’abilità nel creare una progressione sonora capace di guidare l’ascoltatore attraverso una varietà di emozioni. I brani spesso iniziano in un certo modo, solo per esplodere e diramarsi in varie correnti, spinte da raffiche di energia sempre diversa. Questa dinamica tensionale, in cui i momenti armonici sono contrastati da esplosioni di energia caotica (senza tuttavia ricorrere al tipico processo di accumulazione e climax di matrice post-metal), contribuisce alla cerebralità della loro musica. Gli ascoltatori sono portati in un viaggio che li costringe a confrontarsi, nel giro di pochi minuti, con una vasta gamma di emozioni, dalla rabbia alla disperazione, dalla paura all’euforia.
Ci sono diversi modi di godere di quanto viene proposto su “Ashes…”: concentrandosi in primis sul comparto più estremo, notando come Hamzey abbia fatto propria la lezione di certi Deathspell Omega e dei loro vari colleghi (vedi appunto Krallice, Suffering Hour, ecc), oppure divertirsi nel ben districare la matassa, per rinvenire e assaporare quegli elementi tumultuosi di metalcore visionario, i feedback e le scorie noise qui integrati nella trama black, tutte cose che vanno ad aggiungere un livello di astrazione e di complessità alla già densa atmosfera dell’album. Questa calibrata sperimentazione contribuisce a creare un’esperienza che va oltre la superficie e che sfida l’ascoltatore ad avvicinarsi a territori sonori inesplorati.
Come dimostrato in episodi come “No Reprieve”, la title-track o “Still You Haunt Me”, il progetto Theophonos può vantare un magnetismo catalizzante che invoca ascolti ripetuti e sempre più attenti. L’apertura compositiva al non predefinito non solo rende il disco particolarmente avvincente, ma ispira grande curiosità sul futuro di una realtà che pare avere le carte in regola per mettere d’accordo varie frange di ascoltatori.